Da sempre il biologico ha generato sentimenti contrapposti, in particolare entusiasmo e, al contempo, diffidenza. Entusiasmo in chi intravvede la possibilità di generare processi ispirati alla sostenibilità, diffidenza in chi, invece, lo vede come una minaccia alla perpetuazione di processi produttivi consolidati che spesso nulla o poco contribuiscono a migliorare la salvaguardia delle risorse ambientali.
Il sentimento di diffidenza non è certo nuovo e l’abbiamo recentemente percepito anche in coincidenza dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia quando, di fronte alle tensioni sui prezzi e sulla disponibilità di alcune materie prime agricole, più di qualcuno ha iniziato a mettere in dubbio l’obiettivo del raggiungimento entro il 2030 di almeno il 25% di SAU (Superficie Agricola Utilizzata) bio sul totale della SAU totale nell’UE. Analogamente l’abbiamo “respirato” quando, una decina di giorni or sono, ISMEA ha pubblicato i dati sulle vendite di prodotti biologici in Italia nel 2021 in cui è stata registrata una diminuzione, rispetto al 2020, del 4,6% con valori pari a un -8,7% per i prodotti ortofrutticoli.
Se a partire dalla metà degli Anni ’80 il biologico rappresentava uno dei pochi esempi di processi produttivi sostenibili, nell’ultimo decennio la necessità di favorire la mitigazione e contenere il cambiamento climatico ha favorito l’applicazione parziale di alcune tecniche sostenibili. Ciò ha favorito una parziale estensione del concetto di sostenibilità anche a processi differenti dal biologico ma che non sono caratterizzati dall’essere “integralmente” sostenibili. Pensiamo alla produzione integrata, al non OGM, al residuo zero, all’antibiotic free, al vegano, al carbon offsetting o ad altri schemi/percorsi che ricoprono parzialmente alcuni aspetti della sostenibilità ma che non hanno una visione olistica come è il caso del biologico.
Ciò significa che l’insieme di queste tipologie produttive potrebbe garantire il raggiungimento di obiettivi sostenibili quali quelli garantiti dal biologico o in sostituzione del biologico? A mio giudizio la risposta non può che essere negativa perché il biologico è il Fort Apache della sostenibilità, ove la sostenibilità è la nuova frontiera ed il biologico ne è l’avamposto. Senza il biologico, gli obiettivi di sostenibilità raggiunti non sarebbero stati possibili.
Non dimentichiamo che molte delle tecnologie produttive che oggi sono estensivamente applicate anche nell’agricoltura convenzionale, ancorché sostenibile, sono state proficuamente sperimentate in oltre trent’anni di biologico. Il metodo biologico è stata la palestra in cui verificare efficacia ed efficienza di alcune tecniche di produzione sia in ambito agronomico che nella tecnologia alimentare. Solo 10 anni fa era impossibile pensare di produrre in modo economicamente sostenibile alcune produzioni quali le bietole da zucchero così come oggi si ritiene impossibile raggiungere rese quantitative e qualitative paragonabili ad alcune colture convenzionali e, magari, fra 10 anni il problema sarà agevolmente superato. Come abbiamo più volte sottolineato, se la sperimentazione e la ricerca vengono indirizzate verso la sostenibilità saranno superati molti gap e ciò che oggi sembra impossibile o, meglio, economicamente non percorribile lo sarà nell’arco di pochi anni. Non dimentichiamo che in questi anni è stato il biologico a trascinare la sostenibilità e non viceversa.
Oggi il biologico deve assumere un senso di responsabilità ancor più forte rispetto al passato e deve pensare a come misurare il proprio apporto in termini di sostenibilità ambientale, in termini di biodiversità, di fertilità dei suoli, di contenimento dei consumi idrici perché non è più sufficiente dichiararsi biologici, è necessario dimensionare il proprio contributo alla mitigazione del cambiamento climatico nel rispetto, ovviamente, della logica economica che prevede la disponibilità di alimenti sani ad un costo (non solo prezzo) accettabile. Da alcuni anni la sostenibilità non è più solamente un concetto bucolico o ecologico, quasi da guardiani dell’ambiente, ma un affare estremamente serio sul quale si gioca il destino dei Pianeta e il benessere di intere popolazioni. Ecologia ed economia non sono state mai così vicine.
Fabrizio Piva
Il bio Fort Apache della sostenibilità
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Da sempre il biologico ha generato sentimenti contrapposti, in particolare entusiasmo e, al contempo, diffidenza. Entusiasmo in chi intravvede la possibilità di generare processi ispirati alla sostenibilità, diffidenza in chi, invece, lo vede come una minaccia alla perpetuazione di processi produttivi consolidati che spesso nulla o poco contribuiscono a migliorare la salvaguardia delle risorse ambientali.
Il sentimento di diffidenza non è certo nuovo e l’abbiamo recentemente percepito anche in coincidenza dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia quando, di fronte alle tensioni sui prezzi e sulla disponibilità di alcune materie prime agricole, più di qualcuno ha iniziato a mettere in dubbio l’obiettivo del raggiungimento entro il 2030 di almeno il 25% di SAU (Superficie Agricola Utilizzata) bio sul totale della SAU totale nell’UE. Analogamente l’abbiamo “respirato” quando, una decina di giorni or sono, ISMEA ha pubblicato i dati sulle vendite di prodotti biologici in Italia nel 2021 in cui è stata registrata una diminuzione, rispetto al 2020, del 4,6% con valori pari a un -8,7% per i prodotti ortofrutticoli.
Se a partire dalla metà degli Anni ’80 il biologico rappresentava uno dei pochi esempi di processi produttivi sostenibili, nell’ultimo decennio la necessità di favorire la mitigazione e contenere il cambiamento climatico ha favorito l’applicazione parziale di alcune tecniche sostenibili. Ciò ha favorito una parziale estensione del concetto di sostenibilità anche a processi differenti dal biologico ma che non sono caratterizzati dall’essere “integralmente” sostenibili. Pensiamo alla produzione integrata, al non OGM, al residuo zero, all’antibiotic free, al vegano, al carbon offsetting o ad altri schemi/percorsi che ricoprono parzialmente alcuni aspetti della sostenibilità ma che non hanno una visione olistica come è il caso del biologico.
Ciò significa che l’insieme di queste tipologie produttive potrebbe garantire il raggiungimento di obiettivi sostenibili quali quelli garantiti dal biologico o in sostituzione del biologico? A mio giudizio la risposta non può che essere negativa perché il biologico è il Fort Apache della sostenibilità, ove la sostenibilità è la nuova frontiera ed il biologico ne è l’avamposto. Senza il biologico, gli obiettivi di sostenibilità raggiunti non sarebbero stati possibili.
Non dimentichiamo che molte delle tecnologie produttive che oggi sono estensivamente applicate anche nell’agricoltura convenzionale, ancorché sostenibile, sono state proficuamente sperimentate in oltre trent’anni di biologico. Il metodo biologico è stata la palestra in cui verificare efficacia ed efficienza di alcune tecniche di produzione sia in ambito agronomico che nella tecnologia alimentare. Solo 10 anni fa era impossibile pensare di produrre in modo economicamente sostenibile alcune produzioni quali le bietole da zucchero così come oggi si ritiene impossibile raggiungere rese quantitative e qualitative paragonabili ad alcune colture convenzionali e, magari, fra 10 anni il problema sarà agevolmente superato. Come abbiamo più volte sottolineato, se la sperimentazione e la ricerca vengono indirizzate verso la sostenibilità saranno superati molti gap e ciò che oggi sembra impossibile o, meglio, economicamente non percorribile lo sarà nell’arco di pochi anni. Non dimentichiamo che in questi anni è stato il biologico a trascinare la sostenibilità e non viceversa.
Oggi il biologico deve assumere un senso di responsabilità ancor più forte rispetto al passato e deve pensare a come misurare il proprio apporto in termini di sostenibilità ambientale, in termini di biodiversità, di fertilità dei suoli, di contenimento dei consumi idrici perché non è più sufficiente dichiararsi biologici, è necessario dimensionare il proprio contributo alla mitigazione del cambiamento climatico nel rispetto, ovviamente, della logica economica che prevede la disponibilità di alimenti sani ad un costo (non solo prezzo) accettabile. Da alcuni anni la sostenibilità non è più solamente un concetto bucolico o ecologico, quasi da guardiani dell’ambiente, ma un affare estremamente serio sul quale si gioca il destino dei Pianeta e il benessere di intere popolazioni. Ecologia ed economia non sono state mai così vicine.
Fabrizio Piva
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