Cresce la presenza dei prodotti biologici nelle catene della Grande distribuzione italiana. Oggi il paniere di beni sostenibili sugli scaffali ammonta al 24% del totale delle referenze vendute dai retailer e genera un fatturato annuo di circa 11 miliardi di euro. Ma attenzione al fenomeno del cosiddetto ‘greenwashing’, ossia una strategia di comunicazione volta a puntare le proprie attività come ecosostenibili, occultandone l’impatto ambientale negativo.
Se da un lato rappresenta un misura di quanto sia forte oggi la spinta da parte delle aziende ad investimenti sulla sostenibilità, d’altro canto bisogna fare i conti con un consumatore sempre attento a questi temi, che richiede maggiori e più chiare informazioni, soprattutto sul metodo di produzione e che, per contro, ha una minore disponibilità di spesa.
Così mentre AssoBio sta lavorando ad un progetto di tracciabilità dei prodotti biologici insieme al MIPAAF, l’Antitrust, nella sua relazione annuale, pubblicata lunedì, associa per la prima volta il tema del ‘greenwashing’ a quello della concorrenza sleale (vedi news).
Siamo in tempi di rivoluzioni di mercato. L’incertezza delle conseguenze del conflitto ucraino, l’impennata dei costi delle materie prime e un’inflazione galoppante nel settore agroalimentare (a giugno è arrivata all’8,7%, fonte Nomisma) spingono il consumatore a radicali cambiamenti delle proprie scelte alimentari con un forte e deciso orientamento verso la sostenibilità, non solo del prodotto ma anche del packaging. Quello che chiedono le famiglie è una maggiore informazione sia in etichetta, sia attraverso tutte le modalità a disposizione delle imprese, per certificare la trasparenza dei prodotti bio e, in genere, di quelli sostenibili.
È quanto è emerso nel corso della webinar ‘Sostenibilità e greenwashing. Come comunicare correttamente” organizzata da AssoBio e tenutasi lo scorso 14 luglio.
“Otto famiglie su dieci – ha detto Silvia Zucconi, responsabile market intelligence di Nomisma, nell’illustrare la sua relazione – andranno a rivedere i propri criteri di acquisto nel corso 2022 e ancor di più nel 2023. Nella ricerca condotta, è emerso come la sostenibilità sia un valore a cui gli italiani non vogliono rinunciare. Rappresenta un elemento importante delle scelte di acquisto perché il consumatore ha, oggi, un atteggiamento proattivo nel contrasto al cambiamento climatico anche per salvaguardare le future generazioni”.
Tre consumatori su quattro sono decisamente preoccupati per la crisi climatica e vogliono promuovere azioni per combattere, giorno per giorno, secondo le loro possibilità, la trasformazione climatica in corso, contribuendo in maniera attiva, con scelte che impattano sulle abitudini di vita, alla salvaguardia dell’ambiente (il 60% del campione intervistato).
Per il 65% delle famiglie, il futuro del pianeta è importante e le imprese devono adottare dei modelli di produzione sostenibile e che siano attenti all’ambiente.
L’attenzione all’ambiente, però, non significa che il consumatore, stante la crisi economica in atto, sia disposto a pagare di più. Son tempi di coperta corta che si traducono, nelle scelte di acquisto, in un minore volume di spesa, nella rinuncia di beni cosiddetti superflui ma non, attenzione, al valore della sostenibilità dei prodotti acquistati. In sostanza si comprano ma in minore quantità.
Importante, nelle scelte di acquisto, non solo che il prodotto sia sostenibile ma anche che lo sia il packaging che lo contiene.
Ben il 57% del campione intervistato ha rinunciato ad acquistare un prodotto, anche se della propria marca preferita, perché non aveva un packaging sostenibile. “La macro-area packaging, tra quelle che nella percezione del consumatore definiscono il valore della sostenibilità – specifica Zucconi – è un controcanto alla sostenibilità del prodotto e si aggiunge anche, tra i driver di acquisto sostenibile, all’area dell’origine made in Italy”.
Sulle informazioni al consumatore, si apre un capitolo ampio.
Secondo la ricerca Nomisma, il 35% dei consumatori afferma di non avere informazioni sufficienti per valutare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica di un prodotto. Il 55% afferma di essere sufficientemente informato anche se considera la comunicazione sulle qualità del prodotto, incompleta. Analogo discorso vale per la sostenibilità del packaging.
In pratica, oltre il 90% dei consumatori ha bisogno di avere informazioni più leggibili concrete e complete sulla sostenibilità del prodotto. In questo senso, il concetto di etichettatura ambientale che sarà sviluppata normativamente nei prossimi mesi, potrà essere un elemento chiave.
“La costante crescita dell’attenzione verso le tematiche ambientali pone, chi desidera comunicare, di fronte alla sfida di coniugare efficacia con credibilità – osserva Roberto Zanoni, presidente di AssoBio -. Etichette fuorvianti o pubblicità ammiccanti come ‘prodotto green, ecofriendly, 100% naturale‘, non certificano alcunché e creano confusione. Capire quali strumenti e strategie adottare diventa fondamentale. Proprio per questo, le aziende socie di AssoBio aderiscono alle raccomandazioni del nostro codice etico e del disciplinare sulle corrette modalità di comunicazione e di pubblicità nel settore agroalimentare e cosmetico, a tutela dei consumatori, dell’ambiente e anche di una sana concorrenza”.
“Oltre a questo – ha detto Zanoni – stiamo lavorando sulla trasparenza nei confronti del consumatore. In quest’ottica stiamo dialogando con il MIPAAF per creare una piattaforma di tracciabilità validata dal Ministero per seguire i prodotti bio dal campo alla tavola, siano essi di produzione italiana che provenienti dall’estero”.
Mariangela Latella
maralate@gmail.com