Bio VS convenzionale: il dibattito è aperto

Bio VS Convenzionale

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Da qualche settimana, complice la crisi energetica, i rincari e il blocco di alcune esportazioni, sembra aprirsi uno squarcio nel mondo dell’agroalimentare che potrebbe stimolare, e forse forzare, un dialogo tra il mondo del biologico e il mondo del convenzionale.

Su GreenPlanet, nelle scorse settimane, si è cercato di osservare il contesto a 360 gradi in modo da restituire un quadro realistico del panorama che potrebbe prospettarsi nei prossimi mesi e anni.

Se è vero, infatti, che il 2030 è il traguardo entro il quale la superficie di terreni coltivati con metodo biologico dovrà raggiungere il 30% della totalità, è altrettanto vero che c’è chi ritiene che, senza un cambio di mentalità dei produttori del biologico, sarà difficile sfamare un Pianeta la cui popolazione è sempre in crescita, soprattutto in alcune parti del mondo che dipendevano ad esempio dal grano in arrivo dall’Ucraina.

C’è chi è convinto che gli sprechi siano già oggi enormi, e che si debba iniziare a immaginare un futuro in cui non si pretenda di mangiare troppa carne per dare uno stop all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi. Oltre a seguire la stagionalità delle colture e a dare sempre più spazio ai produttori locali, per abbattere i trasporti e il loro conseguente inquinamento.

Ciò che senz’altro non può essere messo in discussione è il fatto che il clima, sempre più imprevedibile e mite, sta chiamando con forza un cambiamento di prospettiva che implichi politiche e azioni tese alla salvaguardia della vita sul Pianeta. Anche se osservato da un’ottica di solo business, l’iper sfruttamento dei terreni sta già evidenziando le sue conseguenze come un boomerang, e anche il business stesso ne risentirà.

Sul fronte della sostenibilità ambientale è evidente che solo il convenzionale abbia da imparare dal metodo biologico, sebbene sia parere diffuso, come ribadisce Angelo Frascarelli di ISMEA (Istituto dei servizi per il mercato agricolo alimentare), il fatto che il bio debba “imparare” che la produttività deve essere un obiettivo intrascurabile, oggi come oggi, un imperativo.

Il dibattito resta aperto e il professor Giovanni Dinelli , del dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna, è tra coloro convinti che sia necessaria l’apertura di un tavolo tra bio e convenzionale teso a cambiare il modello alimentare. 

Nel mondo produttivo c’è poi chi sta pensando che il residuo zero possa costituire la terza via tra il biologico e il convenzionale: una produzione agricola che garantisca maggiore salubrità e al contempo contenga i costi, più alti nel biologico, come si riflette ad Orogel, cooperativa impegnata in entrambi gli ambiti agricoli e convinta che a fare la differenza debba essere l’intervento di una politica capace di supportare una produzione più sostenibile.

Certamente, sul piano alimentare, gli studi dicono che scegliere il biologico fa meglio alla salute. Occorre lasciare da parte, però, le indagini epidemiologiche che peccano sempre della difficoltà di isolare i risultati su campioni di popolazione sui quali influiscono molti altri fattori oltre a quello alimentare, e che alla fine ne determinano le condizioni di salute generali, come ricorda Enzo Spisni, professore associato al dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali all’Università di Bologna. Diversamente, bisogna concentrarsi sugli studi che analizzano gli effetti dell’esposizione a sostanze chimiche utilizzate nell’agricoltura convenzionale, che ne dimostrano chiaramente la nocività.

Il dibattito è aperto e occorre anche osservare come intende reagire la GDO a questa prospettiva: se incrementeranno le referenze e se penseranno a nuovi allestimenti che attirino e spieghino accuratamente cosa si acquista quando si sceglie un prodotto biologico. Per questo diamo appuntamento ai nostri lettori alle prossime settimane.

Chiara Affronte

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