Nessuno sa quanto prodotto bio, autentico o falso, sia presente sul mercato. Questo perché manca un database completo su tutte le transazioni di prodotti biologici. Non c’è in Italia e non c’è in Europa. Un gap che apre le porte non solo ai falsi Bio ma, guardando l’altra faccia della medaglia, anche ai giochi di mercato, in base ai quali talvolta qualche retailer compra prodotto certificato come se fosse convenzionale e solo successivamente ne applica l’etichetta BIO a vantaggio, magari in abbinata con la propria MDD.
“Nel 2017 – ci spiega il segretario generale di FederBio Paolo Carnemolla – avevamo istituito, insieme ad Accredia e AssocertBio, delle piattaforme relative alle transazioni di prodotti Bio in Italia. La prima a partire fu quella per i cereali che insieme a mais, olio di oliva e pomodoro da industria sono le filiere con maggior rischio di prodotto fake e quindi di frodi. Tuttavia, l’allora ministro alle Politiche agricole Maurizio Martina le resettò con un decreto legislativo, il n. 20 del 2018, perché era nei progetti creare delle banche dati ad hoc in capo allo stesso Ministero. Di questo progetto non se ne fece mai nulla”.
Il veloce cambio di governo e di ministri all’agricoltura, che ha caratterizzato la storia politica italiana degli ultimi quattro anni, ha lasciato nel cassetto questa iniziativa, ed oggi, per lo meno in Italia, il dato sui prodotti bio presenti sul mercato italiano è il semplice frutto di una stima degli enti certificatosi fatta sulla base dei controlli in sede di rilascio della certificazione, ovvero del suo corretto mantenimento. Una stima che però va ben al di là delle loro competenze e cognizioni, perché l’attività di tali enti si ferma al riscontrato rispetto dei disciplinari.
Le cose si complicano ulteriormente, poi, se si va a vedere lo strumento europeo deputato a questi controlli. È una banca dati che fa capo alla DG Agri della Commissione Europea. Si chiama TRACES e registra le transazioni biologiche con importatori da Paesi Terzi, con un piccolo punto debole. Si basa sulle dichiarazioni fatte, su base volontaria, dagli importatori italiani che dichiarano alla dogana di aspettare una partita di merce bio, e degli eventuali esportatori dei Paesi Terzi che commerciano con l’Europa e che dichiarano che hanno inviato una certa partita di merce biologica. La transazione in questione, dopo gli opportuni controlli doganali, viene caricata sulla banca dati.
“L’inghippo nasce dal fatto che non esiste un codice merceologico identificativo, alle dogane, per la merce bio importata dai Paesi terzi”, precisa Fabio Chessa, responsabile Agroalimentare e Biologico per Cia – Agricoltori Italiani. “Le merci arrivano in Europa con l’identificazione, come codice merceologico, del tipo di prodotto di cui è composta la partita, ad esempio, limoni, senza specificare se siano biologici o meno”.
La banca dati TRACES, che peraltro ha complicato di non poco le già farraginose procedure burocratiche doganali, ha in parte risolto questo gap normativo. In realtà, a ben guardare, anche qui si crea un vulnus, dal momento che, fino all’approvazione del nuovo regolamento UE sul bio, i certificatori italiani che dovevano controllare direttamente gli impianti delle aziende dei Paesi Terzi, non validavano la veridicità della certificazione bio in base alla precisa conformità alle regole europee delle tecniche colturali previste dai vari disciplinari. Bastava, semplicemente, che si trattasse di pratiche ‘equivalenti’. Un concetto che, di tutta evidenza, lascia molto spazio all’arbitrarietà.
“Grazie ad una battaglia che Coldiretti ha condotto con successo, che è stata sostenuta da tutte le associazioni di categoria, nel nuovo Regolamento europeo n. 848, con riferimento alle importazioni di prodotti Bio da Paesi Terzi, è richiesta la conformità delle loro produzioni alle norme europee e non più la sola equivalenza. Una modifica che però entrerà in vigore dal 2023”, sottolinea Francesco Giardina, coordinatore responsabile dell’Associazione Produttori Biologici Coldiretti.30
Intanto stante l’operatività (dall’inizio dell’anno) del Regolamento UE 848 e della neonata legge italiana sul Biologico, che aspetta ancora i suoi decreti attuativi, il dibattito sulla banca dati è diventato di grande attualità sia in Italia che in Europa.
Le ipotesi prese in considerazione sono due: fare un upload del sistema di TRACES di modo che, ad esempio, possa coinvolgere anche le transazioni tra Paesi intra-europei, oppure che le dogane possano istituire un nuovo codice merceologico specificatamente dedicato al bio.
“In realtà sono due strade poco pratiche – afferma Carnemolla -. Nel primo caso, considerato che ogni Paese europeo ha una propria legge e delle proprie regole, si rivelerebbe un semplice ulteriore carico burocratico per gli agricoltori. Nel secondo caso, tale carico passerebbe dogane. Da un lato, perchè la loro burocrazia sarebbe ulteriormente appesantita, non solo dal dovere coordinare tutte le normative dei singoli stati europei per arrivare al punto di un unico codice merceologico; dall’altra parte dal procedere alle singole verifiche sulle certificazioni mentre, adesso, in controlli vengono fatti a campione. Speriamo che i decreti attuativi che attendiamo possano riempire questo vuoto normativo e organizzativo del mercato, anche in previsione della crescita, voluta dal Green Deal, di prodotto bio in circolazione”.
Mariangela Latella