“L’agricoltura biologica è portatrice di un metodo agronomico che rispetta l’ambiente. Un concetto semplice, vero, cruciale e che occorre davvero comunicare in modo chiaro, velocemente, affinché gli obiettivi del Green Deal e la strategia Farm to Fork siano realmente raggiungibili.” Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, lo afferma senza indugi in occasione della neo-nata Giornata europea del biologico, istituita dalla Commissione europea e celebrata per la prima volta quest’anno, mentre annuncia anche la Festa del bio, che tornerà – dopo il debutto all’Expo 2015 – per la quinta edizione, il 3 dicembre, a Bologna – città che, come ricorda l’assessore Daniele Ara è tra le 100 a voler raggiungere la parità carbonica – e poi a Milano e Roma. Scopo, ancora una volta, quello di ‘spingere’ la transizione ecologica, divulgando i valori del biologico, che porta con sé un sano stile di vita, in armonia con l’ambiente.
“Dobbiamo far passare il messaggio che questo metodo agronomico non è di nicchia e non è destinato solo a pochi produttori e a pochi cittadini, perché, se c’è un grande colpevole della diminuzione della produzione, quello è il cambiamento climatico”, scandisce Mammuccini, che approfitta per comunicare il suo appoggio ai ragazzi coinvolti nelle manifestazioni per l’ambiente dei Fridays for future. E anche per citare Terra Madre e il discorso di apertura fatto da Carlo Petrini: “Siamo otto miliardi di persone nel mondo e produciamo per dodici miliardi, quindi sprechiamo. Petrini lo ha ricordato e il messaggio deve essere che la priorità non è produrre di più ma nutrire la terra, garantire humus e fertilità per il futuro”.
Ed è quello che fa l’agricoltura biologica, sottolinea Mammuccini: “Il metodo biologico non usa chimica di sintesi per la difesa, ma lavora cercando di prevenire e, se c’è necessità di prodotti, usa solo quelli di origine naturale; inoltre non fa utilizzo di organismi geneticamente modificati, di antibiotici, per gli animali; punta agli allevamenti all’aperto stimolando un consumo di carne buona che non contribuisce al cambiamento climatico come invece fanno gli allevamenti intensivi”.
La presidente di FederBio si dice convinta che se si comunicano questi concetti ai cittadini, loro potranno capirli. “Occorre fare di tutto per cambiare modello agricolo e i consumi, seguire la stagionalità, incentivare il consumo locale dei prodotti freschi, che non dovrebbero girare il mondo prima di arrivare sulle tavole dei cittadini”, l’attacco di Mammucini. Che elenca anche altre buone norme, come quella di “evitare gli sprechi e mangiare carne sì, ma buona e in quantità minore”.
Uno dei nodi da sciogliere – al centro anche del confronto che si è tenuto anche al SANA nell’ambito del convegno Rivoluzione bio – quello dei consumi domestici: l’Italia si attesta attorno ai 64 euro pro capite annui, contro i circa 180 di Francia e Germania(188 e 183, ndr) e i 383 della Danimarca, come ricorda Roberto Zanoni di AssoBio, mentre sottolinea l’impegno dell’associazione in formazione, ricerca e comunicazione. “In primavera la Settimana del bio dovrà coinvolgere la grande distribuzione, gli specializzati e la ristorazione”. Proprio su questo ambito è stata lanciata una ricerca tesa a “valutare i consumi reali perché il dato attuale potrebbe essere sottostimato”, aggiunge Zanoni.
All’Italia restano, tuttavia, il primato della quota di superficie bio coltivata, oggi al 17,4%, circa il doppio di quella media europea, del numero di operatori (86.144, in aumento del 5,4% rispetto al 2021) e dell’export (3,4 miliardi di euro nel 2022, +16% rispetto al 2021). È proprio Silvia Zucconi, responsabile Market intelligence & consumer insight di Nomisma, a soffermarsi sulla leggera flessione dei consumi domestici: “Credo sia necessario mettere in campo iniziative di comunicazione che trasmettano in modo semplice concetti complessi. – ragiona – Questo perché sugli scaffali si stanno riunendo tante tipologie di prodotto che hanno alcune caratteristiche che appaiono simili: bisogna fare chiarezza”. Ciò significa che, se è vero che il consumatore riconosce il prodotto bio perché vede impressa sulla confezione la fogliolina verde, “deve capire chiaramente cosa significa quel simbolo”. Sta accadendo, infatti, secondo Zucconi, che si attribuiscano ai consumatori conoscenze sul bio che invece non hanno, almeno al 74%: “Nella realtà faticano a comprendere le profonde differenze con il prodotto convenzionale o con prodotti cosiddetti ‘sani’ e chiedono anche più garanzie sui controlli”, spiega la ricercatrice di Nomisma.
Ad ISMEA il compito di condurre la campagna di comunicazione e formazione per far conoscere il biologico. Antonella Giuliano parla di quattro azioni che puntano all’identificazione di valori specifici del bio: il canale istituzionale dovrà comunicare in modo generalista il bio e i suoi benefici, utilizzando i social, le radio, i video. Si dovrà spingere alla conversione, offrendo moduli didattici e formativi di alto livello ai produttori e, infine, indagare il settore della ristorazione. “Il consumatore è il ‘re’ e il futuro passa attraverso di lui”, scandisce il presidente di ISMEA, Angelo Frascarelli.
Infine, altro pilastro fondamentale su cui riflettere, quello della scienza e della ricerca, spesso divisa sul tema del biologico, in un contesto in cui alcuni docenti universitari con fatica portano avanti sperimentazioni, mentre altri scienziati si oppongono: il nome di Elena Cattaneo e la sua battaglia contro il metodo biodinamico sono ricorsi più volte.
“Durante l’iter di approvazione della legge il contrasto era al mondo del biologico e poi si è trasferito a quello biodinamico, del quale sono stati attaccati alcuni aspetti esoterici o filosofici senza però che si andasse davvero a studiare un’azienda biodinamica. – riferisce Mammuccini – In quel momento abbiamo reputato che non ci fossero le condizioni per aprire un confronto vero con il mondo scientifico. Ma, appena approvata la legge, la strada si è avviata e il SANA è stato uno dei luoghi in cui questa esigenza è emersa con forza”.
Inoltre, aggiunge Mammuccini, “Se il bio deve raggiungere in Europa certe percentuali di diffusione il confronto è d’obbligo”. Non solo, per la presidente di FederBio si è aperta una fase nuova: “I vantaggi del confronto con il metodo convenzionale possono essere reciproci: se si dovrà abbattere l’uso di pesticidi del 50%, il biologico potrà andare in aiuto al convenzionale così come il bio potrà fare sua alcune tecnologie avanzate per migliorare il modo di produrre e la scienza avrà la responsabilità anche – perché no – di studiare altri metodi”. Già al SANA, ad esempio, è stata lanciata Sanatech, “proprio con l’obiettivo di aiutare i produttori a passare al bio”, puntualizza Domenico Lunghi, direttore Business unit food industry di Bologna Fiere.
Chiara Affronte