Etica VS estetica nel bio. Cosa ne pensano i grandi player

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Cresce la consapevolezza del consumatore nei confronti del valore dei prodotti biologici e l’etica della coltivazione bio sembra “vincere” sull’estetica di frutta e verdura, ma nonostante ciò lo spreco del settore del biologico è ancora il doppio di quello del convenzionale e sfiora il 50%. 

In un mercato in piena transizione ecologica, sulla scia della strategia Farm to Fork, le persone acquistano ancora con gli occhi e soprattutto, oggi più che mai, inseguendo il prezzo più basso. Due elementi, questi, che hanno portato GreenPlanet ad interrogarsi sulla valenza dei concetti di etica ed estetica nel settore biologico, oggi in relazione a tutti i canali distributivi, dal ristorante stellato, alla mensa, al negozio specializzato, al supermercato fino ai discount, dove l’offerta di prodotti biologici, anche di private label, è in costante aumento.

In questa puntata dell’inchiesta si puntano i fari sul canale della GDO – dove, come si dice, il consumatore acquista prima con l’occhio. Ne abbiamo parlato con tre grandi player del bio made in Italy: Natura Iblea, Almaverde Bio e Mielizia (marchio biologico del miele CONAPI). Proprio quest’ultima mette in guardia verso le frodi legate al falso miele in Europa: circa il 46% dei vasetti sugli scaffali sarebbero confezionati soprattutto in Cina con un mix di dolcificanti quali lo zucchero e lo sciroppo di riso e di miele avrebbero solo una piccola percentuale.

Lo strumento comunicazione

Dopo quarant’anni di produzioni biologiche, in Italia è aumentata la professionalità dei produttori, anche perché sono evolute le tecniche in campo, a vantaggio dell’estetica del prodotto bio. Ma è così importante il “prodotto bello”, quando si parla di qualcosa di profondamente etico? Il dibattito è aperto: ciò che è certo è che le aziende biologiche, come ogni impresa, devono stare sul mercato, seguirne le regole, rispondendo tuttavia sempre a quell’etica che è chiave e spinta propulsiva del settore.

Per Roberto Giadone, presidente di Natura Iblea srl, “parlare di estetica nel biologico è un’aberrazione, perché occorrerebbe concentrarsi, semmai, sul rendere il biologico il più possibile popolare, accessibile a chiunque, e comunicare il concetto che il prodotto non bello, se è buono, resta pregiato”.

Accade talvolta che l’estetica, quando si parla di prodotti della terra, segua, nei canoni, le mode del momento. In passato, ci sono stati, infatti, periodi in cui la mela imprecisa o il limone bitorzoluto erano sinonimo di prodotto sano; quelli perfetti, di “finto”, non sano. Ma le cose cambiano, anche a seconda di come la comunicazione agisce e influenza atteggiamenti e convinzioni. Per questo, a tal proposito, tutti gli operatori, sono convinti del fatto che sia fondamentale che sia lo Stato che l’Europa investano in una corretta ed efficace comunicazione tale da spingere i consumi verso il biologico e la sua eticità, anche in considerazione degli obiettivi che ci si sta ponendo dal punto di vista ambientale, di riduzione delle emissioni e di aumento delle superfici coltivate con metodo biologico.

Le certificazioni

“I riferimenti di legge a cui rifarsi – afferma Paolo Pari, direttore di Almaverde Bio – restano il faro da seguire. Benché auspichiamo una maggiore semplificazione dei sistemi di controllo e di certificazione, l’aspetto normativo deve restare un punto fermo”.

Quindi, se è vero che in un certo periodo, prima della certificazione, “il prodotto più brutto era quello più credibile – ricorda Pari – oggi, nonostante sia aumentata la professionalità del produttore così come i mezzi tecnici alternativi che permettono di ottenere un prodotto anche più bello, il prodotto biologico destinato al banco del fresco nella grande distribuzione, occupa ancora una seconda categoria perché può accadere di frequente che una zucchina non sia perfettamente uguale all’altra, per fare un esempio”.

La leva prezzo oggi è determinante per il consumatore, ma rischia di trasformarsi in un boomerang per i produttori, laddove i consumatori non siano adeguatamente informati.

Le Isole Almaverde Bio

Per far fronte ad una distintività del prodotto e ad una sua gestione, Almaverde Bio sta lavorando da anni con il concept delle ‘isole’. “Ne gestiamo direttamente 50 in diversi supermercati supermercati e possiamo testimoniare che è molto importante fidelizzare il consumatore e mostrare che l’offerta non è statica: se le persone sono poi già molto motivate all’acquisto di un prodotto bio con delle promozioni interessanti, può aiutare nella scelta verso il prodotto bio. E il discorso vale anche nel caso del compratore scettico. La gestione diretta, in sostanza, offre al produttore la possibilità di fare dei test e di immettere nel mercato prodotti innovativi”.

Questo anche perché, nonostante il biologico lavori sulle varietà, non ha tutte le referenze del convenzionale, quindi si possono proporre delle occasioni al consumatore e, di fatto, convincerlo dell’idea che l’etica vince sull’estetica. Questa strada, tuttavia, è più facilmente percorribile per i produttori monomarca come Almaverde Bio; ecco perché, per Pari, “una comunicazione efficace sul biologico realizzata dalla Comunità europea, acquista maggiore credibilità; il biologico è una categoria e va gestita come tale”. 

Il tema prezzo

Occorre, in sintesi, lavorare verso dei “posizionamenti di prezzi continuativi, posto che il biologico ha un valore che gli deve essere riconosciuto”, conclude il manager di Almaverde Bio. È evidente che bisogna essere bravi, esperti: “Oggi le aziende biologiche oggi sono condotte soprattutto da una fascia di età molto più giovane di un tempo perché hanno più possibilità di formarsi e quindi di avere competenze slegate dalle abitudini”. Poi, una comunicazione istituzionale avanzata sul biologico può aiutare il consumatore ad arrivare al supermercato con un’idea più evoluta e formata.

Del resto, come sottolinea Giadone di Natura Iblea, “etica ed estetica nel biologico sono due aspetti che confliggono quotidianamente”. Se è vero, infatti, che “un’azienda del settore convenzionale non scarta più del 25-28% di prodotto non conforme, nel bio si arriva anche al 50%, seguendo certi canoni”. Una follia, per il presidente di Natura Iblea, convinto del fatto che sia inaccettabile uno spreco così elevato per rispondere alle richieste estetiche dei prodotti. “Assurdo anche che prodotti così pregiati diventino compost”, attacca. E racconta. “Noi, con il nostro sito di vendita diretta online – Paniere bio – vendiamo prodotti anche esteticamente meno ‘belli’ ad un prezzo inferiore del 30-50% e vanno tantissimo”.

Ma la GDO non si prende in carico questo rischio, perché manca il rapporto personale con il consumatore a cui spiegare perché un determinato prodotto è proposto ad un certo prezzo.  “Dovremmo far diventare di moda il prodotto ‘brutto ma buono’, perché l’estetica a cui si è obbligati a rispondere oggi crea solo spreco alimentare – per Giadone – Servirebbe anche la voce di qualche opinion leader ma soprattutto una comunicazione istituzionale, europea e italiana, ma anche la GDO potrebbe investire forse qualcosa in comunicazione nei propri punti vendita”.

La questione etica delle api

Se il discorso bello e buono è un tema legato all’ortofrutta, non è così per il miele biologico che, sin dagli anni ’90, è indubbiamente più ‘bello’ di quello convenzionale non solo per i processi produttivi con cui viene realizzato ma anche per un importante lavoro di marketing anche legato al packaging che è stato portato avanti dagli operatori. Tra questi, si distingue Mielizia, marchio bio del gruppo CONAPI che rappresenta il 20% della produzione italiana di miele biologico. “La comunicazione ed il marketing – spiega Nicoletta Maffini, DG Conapi – hanno fatto passi da gigante in questo settore, negli ultimi trent’anni. Mielizia, nei suoi packaging racconta anche la storia dei soci apicoltori ed in questo ha sviluppato un’esperienza unica sia in Italia che in Europa”.

Il punto, per il settore apistico, è molto più legato all’etica. Sono tanti gli areali dove le api e gli impollinatori stanno drammaticamente diminuendo perché il massiccio sfruttamento dei terreni, il cambio climatico e i pesanti processi di urbanizzazione, hanno di fatto ridotto all’osso gli habitat ospitali per queste piccole creature essenziali per l’agricoltura”.

Eppure, nonostante la presenza di api sia indice dello stato di salute di quel territorio, nessuna norma individua questi insetti (che poi di fatto sono una cartina tornasole del benessere degli ambienti) come presupposto essenziale da cui partire per definire un comune denominatore del concetto di sostenibilità. È innegabile che un percorso di rigenerazione dei terreni più impoveriti non potrebbe che beneficiare dell’inserimento di popolazioni di api che sono in sinergia con altri insetti impollinatori, e sono addirittura più efficaci sia dal punto di vista della resa che della qualità del sostegno dato all’agricoltura.

“Da molti anni ormai – precisa Giorgio Baracani, presidente di CONAPI -, gli apicoltori vengono chiamati (letteralmente contesi) dagli agricoltori per impollinare determinate zone produttive. In questi casi, si fanno degli accordi in virtù dei quali, durante il periodo della fioritura e dell’impollinazione, il coltivatore non utilizza trattamenti che potrebbero essere dannosi per la popolazione delle api. Fino a qualche anno fa un’apicoltore si spostava anche per più di 500 km. Oggi si tende a ridurre il raggio di azione”.

Il miele biologico, a differenza di quello convenzionale, è legato anche ai trattamenti che vengono fatti sulle api per difenderle da possibili patologie come la comune Varroa, ad esempio, che in biologico viene trattata con acidi naturali come l’ossalico che “produce effetti migliori della chimica – assicura Baracani – la quale, per contro, produce resistenza ai trattamenti”.

Il caso del finto miele 

Circa il 46% del miele presente sugli scaffali europei è fake! Stiamo parlando di un numero che sfiora la metà dei volumi. “Secondo indagini della commissionate dalla Commissione europea, sulle importazioni fraudolente di miele in Europa – chiosa Maffini – si tratta di prodotto che proviene prevalentemente dalla Cina, entra in Europa dal Portogallo e inizia il giro commerciale, con il confezionamento in Spagna, dove alcuni operatori poco “trasparenti” inseriscono in etichetta la dicitura di miele europeo pur trattandosi di mix di miele locale e dolcificanti che con il miele non hanno nulla a che fare quali zucchero o sciroppo di riso. L’aspetto è identico al prodotto originale per questo è difficile da individuare, anche attraverso le analisi di laboratorio. Gli zuccheri principali, normalmente presenti nel miele di fatto sono di due tipi, il glucosio ed il fruttosio. Le analisi, pur effettuate ormai con strumenti avanzatissimi, non riescono a distinguere facilmente, ancora oggi, se la loro origine sia effettivamente da vegetale, quindi dal nettare. Il miele oggi rischia di essere il primo prodotto europeo più falsificato”.

La Commissione europea ha finalmente pubblicato i dati sulle pratiche fraudolente nelle importazioni di miele nell’UE, a seguito dell’azione congiunta “From the Hives” della DG Sante, del Centro comune di ricerca (JRC) e dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF).

Chiara Affronte
chiara.affronte@gmail.com

Mariangela Latella
maralate@gmail.com

 

Per approfondire l'inchiesta:
1. Il bio al bivio tra etica ed estetica. Intervista a Carnemolla

 

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