Etica contro estetica. Stessa diatriba anche nella zootecnia bio?

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Senza il supporto dell’intera filiera, sarebbe difficile produrre latte biologico, in modo sostenibile, per Gianluca Ferrari, vicepresidente della Cooperativa Granlatte, così come per Barbara Saba, direttrice marketing di Fileni, un’alleanza tra produttori del biologico per spingere la GDO a realizzare corner ‘dedicati’ è uno degli auspici per il futuro su cui lavorare affinché l’etica vinca sulle logiche del mercato.

Di nuovo etica ed estetica nel bio. Ma, se è vero che, per ciò che riguarda la zootecnia, il contrasto non stride così tanto come per l’ortofrutta, anche in questo settore certe dinamiche inficiano talvolta il percorso di chi sceglie la strada della sostenibilità.

La Cooperativa Granlatte, che con i suoi oltre 600 soci controlla Granarolo, ha iniziato a produrre latte biologico intravvedendo in questa scelta un’opportunità di mercato in grado di abbracciare i temi di attenzione alla sostenibilità e all’ambiente. “Nel tempo – racconta Gianluca Ferrari, vice presidente di Granlatte e di Granarolo – abbiamo accompagnato le aziende nel percorso di conversione verso il bio che ci ha portato a raggiungere la quota di 60mila tonnellate di latte biologico”. Ciò che fa sì che, attraverso l’equilibrio che si instaura tra cooperativa e SPA, si riesca a colmare il gap di prezzo che inevitabilmente in parte si scarica sui consumatori, appesantiti ancor di più nei momenti in cui i costi generali – per congiunture storiche o economiche – subiscono un innalzamento rilevante.

Fondamentale, poi, in generale, per Ferrari, è l’innovazione tecnologica, negli ultimi tempi “dirompente”, che consente un contenimento dei costi sostenendo l’azienda agricola nell’ottenimento di una giusta remunerazione. Senz’altro, nel caso di Granarolo, aiuta il fatto di essere in possesso di un cospicuo portfolio di prodotti che permette una presenza importante all’interno della grande distribuzione.

Ma, d’altro canto, la GDO dovrebbe dimostrare una maggiore convinzione nella promozione del biologico: “Sarebbero opportune più chiarezza e immediatezza nel comunicare la differenza tra un prodotto biologico e uno non biologico – spiega il vicepresidente di Granlatte – affinché possa emergere la forza dell’etica che sta alla base del metodo biologico, soprattutto in un periodo in cui si è forse un po’ perso il rapporto emotivo tra un prodotto, il modo in cui viene realizzato e le persone”.

Torna di nuovo, quindi, come nel caso dell’ortofrutta, il tema legato alla comunicazione: “Il consumatore è spesso confuso da informazioni non precise e quindi – scombussolato – tende spesso a ricordarsi del biologico a seguito di uno scandalo di cui ha avuto notizia, e a non captare la ‘buona informazione’ che fa più fatica a passare”, ragiona Ferrari, convinto che “manchi al consumatore innanzitutto la conoscenza”.

“Fare biologico non significa limitarsi ad aderire a un regolamento – insiste – perché si tratta piuttosto di una scelta imprenditoriale precisa, che porta verso questo tipo di coltivazione e di allevamento”. E verso un processo virtuoso che ha trainato, oltre tutto, anche la produzione a residuo zero, perché “ha con forza indicato una direzione precisa, un cambiamento culturale radicale”, scandisce Ferrari. È noto a tutti che in passato non si discuteva del fatto che la monocultura non fosse una buona scelta e che andassero fatte le rotazioni: il pensiero in questo senso si è evoluto e “noi, oggi possiamo essere un traino a livello internazionale per quei Paesi in cui la rivoluzione agricola non è ancora avvenuta perché sono fermamente convinto del fatto che ogni agricoltore abbia a cuore la terra che lavora e voglia lasciare a chi viene dopo di sé un posto migliore di quello che ha trovato…”, riflette il vicepresidente di Granlatte.

Insomma, per Ferrari, se il biologico in quanto tale ha costituito e rappresenta ancora un passo in avanti fatto dall’agricoltura convenzionale, “occorre che non si perda questa sensibilità ed è sempre più necessario diffonderla con politiche nazionali ed europee che vadano sempre più in questo senso”.

Il packaging, certamente, può dare una mano, anche per “raccontare” cos’è uno specifico prodotto, non solo affinché la confezione sia sostenibile dal punto di vista ambientale. “Riguardo al packaging noi abbiamo lavorato nella riduzione della plastica e senza dubbio non smetteremo di innovare”, fa sapere Ferrari.

In questo senso si è mossa anche Fileni, che da oltre 20 anni, si è lanciata in modo pionieristico nell’allevamento biologico. “Il nostro packaging è realizzato con un eco-vassoio in cartoncino certificato proveniente da foreste gestite in modo sostenibile e ricoperto da un film sprovvisto di etichetta in modo da non dovere complicare la differenziazione dei rifiuti”, riferisce Barbara Saba, direttrice marketing di Fileni. Importante – scandisce – “che dietro al prodotto ci sia coerenza, aspetto richiesto dal consumatore con forza”.

Lo “storytelling deve spiegare il motivo per cui un’azienda sceglie di essere virtuosa”, per la manager di Fileni: “Noi abbiamo fatta questa scelta molti anni fa, in maniera sicuramente pionieristica: lo abbiamo fatto con la carne avicola andando a parlare ad un target di persone esigente che chiedeva un certo prodotto e determinate scelte”.

Oggi la sfida, per Saba, è quella di rendere il biologico “sempre più democratico, ma ancora le condizioni non lo permettono: fare il biologico costa moltissimo rispetto al convenzionale e benché questo costo non sia caricato tutto sul consumatore, ancora il prodotto non riesce a raggiungere target di consumatori con meno disponibilità e conoscenze”.

Tuttavia, per la direttrice marketing di Fileni, nonostante l’inflazione si attesti ancora attorno al 15%, “chi ha fatto la scelta del biologico – e quindi di un approccio etico – continua ad acquistare quel tipo di prodotti, magari spostando le rinunce su categorie più futili”, ragiona Saba.

Interessante, per lei, in futuro, poter riuscire a stringere una sorta di alleanza tra tutti produttori del biologico, indipendentemente dalla categoria in cui lo fanno, per spingere all’interno della GDO dei corner ‘dedicati’.

Chiara Affronte

Per approfondire l'inchiesta:
1. Il bio al bivio tra etica ed estetica. Intervista a Carnemolla
2. Etica VS estetica nel bio. Cosa ne pensano i grandi player 
3. Etica ed estetica, due valori inconciliabili nel bio
4. Possono convivere etica ed estetica nel bio? Facciamo il punto

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