Fumata nera per il bio-distretto del Trentino: con un’affluenza di appena il 15% non è stato raggiunto il quorum necessario per dichiarare valido il referendum. Domenica 26 settembre, gli abitanti di tutti i comuni della provincia autonoma di Trento hanno avuto tempo fino alle 22.00 per dire la loro sulla nascita di quella che i promotori del voto definivano “un’area geografica dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni possano stipulare un patto formale per la gestione sostenibile delle risorse, partendo proprio dal modello biologico di produzione e consumo, basato cioè su filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio e così via”.
Obiettivo del referendum, come spiegato dal portavoce del comitato promotore, Fabio Giuliani, era quello di innalzare nella provincia di Trento le coltivazioni biologiche al 50% dei terreni agricoli, rispetto all’attuale 6% e rispetto a una media italiana del 15%. Coldiretti, però, fin da subito aveva manifestato perplessità sull’iniziativa: il presidente dell’associazione degli agricoltori dell’area di Trento, Gianluca Barbacovi, pur sottolineando che “l’agricoltura biologica rappresenta senza dubbio un settore in crescita che va incentivato”, aveva palesato disappunto per l’approccio adottato per promuovere il referendum. “Siamo convinti – aveva chiarito Barbacovi – sia mancato il giusto coinvolgimento sia dei rappresentanti del settore agricolo, sia degli altri settori economici, come quello turistico e sociale, poiché il tema della sostenibilità è anzitutto culturale”.
In ogni caso, secondo i promotori del referendum, la trasformazione del Trentino in un bio-distretto non si sarebbe potuta concretizzare da un giorno all’altro ma avrebbe richiesto una quindicina di anni per andare “a regime”. Ora, col verdetto del referendum, i tempi sembrano destinati ad allungarsi ulteriormente.