Negli ultimi giorni abbiamo riflettuto sulle proposte emerse dall’assemblea dei produttori di Federbio. Obiettivamente speravamo in proposte più coraggiose, meno datate e più adeguate ad un rilancio del settore e soprattutto per una crescita apprezzabile dei consumi. Purtroppo le proposte sono le stesse formulate alcuni anni orsono, addirittura precedenti al pessimo D Lgs 20/2018; idee che non contribuiscono a rendere il settore meno stantio e, certamente, non creano le condizioni per proiettarlo al vertice della sostenibilità. Sistema unico di certificazione (ma, non lo è già unico?) per ridurre la burocrazia e giusto prezzo sono le proposte emerse su cui intendiamo riflettere.
Nonostante due D Lgs (20/2018 e 148/2023) si è passati dal proporre l’organismo unico di certificazione al sistema unico di certificazione con il rischio di banalizzare uno degli aspetti più valorizzanti il settore, la certificazione, e di ridurre ancor più gli organismi di certificazione a “vassalli” dell’Autorità di controllo. Spiace dover costatare che nel settore ancora oggi non si sappia che, in particolare con il D Lgs 148/2023, il sistema di certificazione è già unico. Le frequenze di ispezione, la rotazione degli ispettori, la loro formazione, gli stringenti requisiti di tutti coloro che collaborano, la definizione delle procedure, della modulistica e dei piani di controllo è soggetta al rigido controllo di ICQRF e alla sua approvazione. Già oggi, infatti, i requisiti posti nella normativa comportano la predisposizione di piani di controllo in cui l’organismo di certificazione potrebbe essere definito di ispezione se non vi fosse un obbligo da Reg 848 di essere accreditati in base alla norma ISO 17065. Analogamente per i tariffari, da parecchi anni approvati da ICQRF, con tariffe predisposte in base ai costi di esercizio trattandosi di aziende private con strutture di costo differenti. Perché il settore dovrebbe privarsi della competizione fra organismi che negli anni ha portato ad un contenimento dei costi a fronte di un miglioramento del servizio? Come si può pensare che con un tariffario unico il sistema ne tragga benefici? Come possono organismi differenti avere un unico tariffario deciso per decreto? È abbastanza evidente che tali proposte porterebbero ad avere un unico organismo di certificazione perdendo tutti i vantaggi derivanti dalla competizione e dall’avere organismi in grado di offrire anche altri servizi di certificazione accessori che oggi conferiscono valore aggiunto al biologico (certificazione di sostenibilità, di qualità, sociali, etc).
Il sistema di certificazione italiano nulla ha da invidiare ad altri sistemi e non si capisce perché lo si voglia stravolgere. Sempre in tema di certificazione è profondamente sbagliata l’idea che la certificazione produca burocrazia e che il sistema unico la ridurrebbe. Gli organismi di certificazione sono le prime vittime della burocrazia e le cause risiedono nell’eccessiva produzione normativa e nella conseguente moltiplicazione di adempimenti anche quando non sono necessari.
Sul tema del “giusto prezzo” chi non anelerebbe a tale perfezione? Fin dagli albori dello scambio di merci e servizi tutti vorrebbero una “ragione di scambio” perfetta ma ogni attore economico desidera il “suo” prezzo che non corrisponde a quello dell’altro. Ecco perché il prezzo risulta dalla combinazione di svariati fattori che si condensano intorno alla funzione di produzione ed al gioco della domanda e dell’offerta. Nell’ambito dello stesso settore e per gli stessi prodotti le aziende combinano i fattori produttivi in modo differente e il processo produttivo è diverso portando a costi di produzione differenti ed a prezzi che cambiano non solo fra azienda ed azienda ma anche nel tempo all’interno della stessa azienda. La necessità di adeguare il processo produttivo è alla base anche dell’introduzione di innovazioni di processo e prodotto che ne hanno migliorato le performance ed i costi. Come è proponibile che una CUN (Commissione Unica Nazionale) possa fissare i prezzi per centinaia o migliaia di prodotti quali quelli che compongono il bio? Le CUN oggi esistenti che si occupano di un solo prodotto faticano a funzionare perché di fatto non riescono a definire un giusto prezzo che vada bene per tutti, figuriamoci per prodotti molteplici e fra loro molto differenti. Ancor meno potrà funzionare se sarà gestita da un’interprofessione univoca, così come proposto, in base ad una normativa, la Legge 23 del 9.03.2022, piuttosto confusa e contradditoria sugli strumenti e di cui abbiamo argomentato in altri interventi precedenti. Giungere alla definizione di prezzi orientativi (qualche migliaio?) sulla base dei costi di produzione valutati da ISMEA, come proposto, rischia di essere impossibile o inutile. Inutile perché tali prezzi/costi non potrebbero essere ritenuti orientativi o rispettati dal sistema produttivo nella sua complessità, a meno che qualcuno non ritenga debbano essere fissati per decreto. Ci auguriamo ciò non accada perché i Paesi in cui ciò avviene non sono i migliori luoghi in cui vivere.
Si favorisca l’innovazione senza particolari fobie, con la formazione, un’assistenza tecnica collegata alla ricerca ed alla sperimentazione e non alle scartoffie, si promuova presso i consumatori un biologico maggiormente connesso all’agroecologia ed alla sostenibilità, si incentivi la costruzione di filiere efficienti fino al coinvolgimento della distribuzione che ha ridotto il suo interesse verso il bio e si spinga sull’aggregazione dei produttori tramite cooperative ed OP al fine di accrescere il potere contrattuale della produzione.
Il “giusto prezzo” è il frutto di sistemi produttivi forti e ben organizzati e non di alchimie cervellotiche o, peggio, di decisioni per decreto.
Fabrizio Piva