Inchiesta Vertical Bio, tutti assolti. Suolo e Salute: “Giustizia è fatta”

Costa e D'Elia - suolo e salute

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Il collegio del Tribunale di Pesaro ha assolto il 16 dicembre tutti i 23 imputati e le 6 società coinvolte nell’indagine avviata nel 2013 dalla Procura del capoluogo marchigiano che ipotizzava una truffa da 32 milioni di euro per importazione e commercio di derrate secondo l’accusa “falsamente bio”. Sotto l’attenzione del pubblico ministero Silvia Cecchi era finita l’importazione e il commercio di 350 mila tonnellate di mais, soia, grano, colza e semi di girasole destinati principalmente all’alimentazione zootecnica (vedi news).
I fatti risalivano al periodo dal ottobre 2009 a gennaio 2014 e riguardavano l’importazione di derrate alimentari certificate biologiche da alcuni Paesi dell’Est Europa e Asia per un fatturato complessivo di 126 milioni di euro. Il provento illecito era stato calcolato in 32 milioni, dei quali 23 sequestrati dalla Finanza: ora dovranno essere restituiti ai legittimi proprietari. 

Al termine dell’udienza preliminare erano stati rinviati a giudizio 23 operatori per l’ipotesi di reato di associazione a delinquere transnazionale finalizzata alla frode nell’esercizio del commercio. Sul banco degli imputati erano stati messi due enti di certificazione italiani e sei aziende di trasformazione bio che avrebbero dovuto rispondere anche di illecito amministrativo, perché il reato sarebbe stato commesso nel loro interesse.

“Abbiamo sempre avuto fiducia nella Giustizia – commenta Angelo Costa, presidente di Suolo e Salute -. La nostra storia nasce da profonde motivazioni etiche e raccoglie l’eredità di uno dei primi movimenti che hanno portato alla nascita della virtuosa esperienza dell’agricoltura biologica italiana. Il buon nome del bio italiano e la nostra reputazione non potevano essere messi in discussione”.

“C’è da esprimere profonda soddisfazione – afferma da parte sia l’avvocato Maurizio Cannistraro, del Foro di Siracusa e difensore di Suolo e Salute e di altri imputati – per l’esito positivo di una vicenda giudiziaria che ci ha tenuti impegnati negli ultimi anni anche con la celebrazione di due udienze a settimana. Si è chiusa una stagione di aspro confronto che non è rimasto confinato nelle aule giudiziarie, ma che ha imperversato sugli organi di informazione non solo italiani ma di tutta Europa”.

“L’inspiegabile duplicazione del nome dell’indagine, denominata dapprima Green War e poi Vertical bio, – precisa l’avvocato – ha finito per raddoppiare l’attenzione mediatica sulla vicenda, danneggiando la reputazione del biologico italiano soprattutto all’estero”. “Dopo 59 udienze istruttorie – stigmatizza l’avvocato – tenutesi in circa 4 anni (Covid incluso), l’impianto accusatorio che ha determinato i presupposti per avviare un vero maxiprocesso, con tanto di implicazioni transnazionali, non ha retto al vaglio del Tribunale. Se si pretende di contestare un reato grave come quello di cui all’art. 416 del codice penale (associazione a delinquere) per riceverne disponibilità di strumenti di indagine riservati ai processi di rilevante allarme sociale (nove arresti in questo processo e fiumi di intercettazioni) si deve poi fornire il supporto probatorio adeguato: l’organo dell’accusa non è riuscito ad adempiere a tale onere”.

“Da vicende come questa – sottolinea da parte sua il direttore generale di Suolo e Salute Alessandro D’Elia – si traggano utili insegnamenti per tutelare meglio, in futuro, la reputazione del biologico italiano. Ora che giustizia è fatta ed il buon nome del biologico italiano è stato ristabilito serve un maggiore impegno in comunicazione per tutelarne la reputazione all’estero, macchiata dalla gran cassa suonata attorno a vicende che hanno determinato oltre 10 anni di accanimento contro aziende e operatori biologici seri e motivati“. (a.f)
Nell’immagine di apertura: Angelo Costa, presidente di Suolo e Salute e Alessandro D’Elia direttore generale di Suolo e Salute

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