Da mesi si parla di crisi del grano. La carenza di materia prima, l’impennata dei costi di produzione, i problemi della logistica: un cortocircuito della filiera di approvvigionamento che ha avuto non poche ripercussioni a valle. Una questione critica, che sta coinvolgendo in particolare l’industria di trasformazione. Ma si può fare una distinzione tra operatori convenzionali e bio? Lo abbiamo chiesto a Marco Sartori del board di Alce Nero, secondo il quale la vera differenza non è data dal tipo di filiera, quanto più dalla sua lunghezza e dall’orgine della materia prima, oltre che dagli accordi presi con i fornitori.
“Come Alce Nero chiudiamo i contratti annualmente prima della semina, quindi per noi le speculazioni successive allo scoppio della guerra in Ucraina non hanno costituito un problema. Avevamo dei sentori che qualcosa stesse succedendo quando abbiamo cominciato a vedere l’incremento dei costi del trasporto e la loro incidenza sui costi finali, ma anche in questo caso, avendo il mulino vicino ai campi, non ne abbiamo risentito molto. Al momento però siamo in una fase di attesa, aspettando che vengano confermati i dati di produzione del Canada”.
– Qual è l’attuale andamento dei prezzi?
“Le quotazioni del prodotto locale stanno registrando un forte calo nonostante le rese per ettaro siano state molto basse a causa della siccità. Ad oggi l’impatto ambientale e le conseguenze del cambiamento climatico hanno per noi ripercussioni più importanti di quelle legate alle conseguenze della crisi ucraina e della guerra. La questione ambientale e le sue conseguenze sulle filiere produttive nostrane sono temi di cui ancora si parla poco, ma che purtroppo esistono e sono urgenti. Oggi stiamo aspettando le stime produttive definitive del Canada per capire meglio i prezzi finali. Se oltreoceano si avrà una sovrapproduzione, potrebbe essere più conveniente acquistare il prodotto importato, nonostante l’aumento dei costi di trasporto e logistica, con un effetto calmierante sui prezzi del grano in generale. Ma se ciò non si verificasse, le quotazioni finali risentirebbero inevitabilmente dell’influenza delle basse rese produttive. Proprio per questo a livello politico si dovrebbe affrontare la questione della resilienza dei nostri campi e delle nostre produzioni rispetto a uno scenario che sta cambiando a causa della crisi climatica”.
– Come risolvere questo impasse? …se una soluzione è possibile
“Come settore del biologico dobbiamo cercare di essere innovatori anche in questa fase di crisi. Se noi cominciassimo a valorizzare meglio le produzioni locali dando loro maggiore dignità anche dal punto di vista del marketing e, al contempo, riuscissimo a educare i consumatori rispetto alle qualità del prodotto, potremmo riuscire a influenzare a nostro vantaggio le loro scelte di acquisto. Il bio potrebbe essere quel soggetto che lavora per la valorizzazione del territorio, facendo un buon servizio all’Agricoltura. Non dobbiamo pensare di risolvere noi tutti i problemi ma dobbiamo cercare di essere i pionieri di un cambiamento e non solo i difensori di una tradizione”.
Chiara Brandi