È ormai ampiamente riconosciuto che la diversificazione in un’azienda agricola verso attività connesse consente di integrare il reddito e ridurre i rischi che derivano dalle pressioni esterne e dai cambiamenti del contesto socioeconomico e ambientale in cui l’azienda opera. Meno noto è invece il ruolo che la diversificazione è in grado di svolgere all’interno del contesto dell’agricoltura biologica. Questo perché, nell’ambito dei numerosi studi che affrontano le questioni della multifunzionalità, l’agricoltura biologica è comunemente considerata una strategia di diversificazione delle aziende agricole convenzionali.
Definire l’agricoltura biologica come una delle possibili strategie di diversificazione è riduttivo, in quanto sminuisce il cambiamento verso uno specifico modello ispirato a principi di sostenibilità, tale da comportare un ripensamento della gestione dell’intera azienda e dei suoi rapporti con l’esterno.
Partendo da questa impostazione concettuale, un recente studio (Bonfiglio et al. 2022) ha tentato di analizzare quelle che sono le possibili motivazioni che spingono le imprese a diversificare tenendo separate le imprese biologiche da quelle convenzionali. La finalità è quella di coglierne le differenze per meglio definire le politiche di diversificazione a favore delle imprese agricole.
Cosa emerge dallo studio?
Lo studio si è concentrato su due delle tre direzioni della multifuzionalità ossia: approfondimento (“deepening”) con cui si intende la produzione di prodotti ad alto valore aggiunto e l’integrazione di attività poste a monte e a valle della filiera agro-alimentare; e allargamento (“broadening”) attraverso cui si affiancano attività in grado di soddisfare i nuovi bisogni dei consumatori e fornire servizi a favore della comunità.
Non emergono sostanziali differenze tra imprese biologiche e convenzionali: in entrambi i casi, infatti, la direzione più frequentemente seguita è quella dell’approfondimento nella forma della trasformazione dei prodotti in azienda. Rispetto alle imprese convenzionali, nelle biologiche si nota comunque una tendenza più marcata verso l’approfondimento e,tra le imprese che ricorrono a questa strategia, una maggiore propensione alla trasformazione e alla vendita diretta dei prodotti.
Le imprese che diversificano sono state poi messe a confronto con le imprese che invece non diversificano.
Oltre a fattori comuni che influenzano la scelta della diversificazione, emergono alcune specificità che differenziano le imprese biologiche da quelle convenzionali. Un primo elemento è la localizzazione. Le imprese biologiche che diversificano si localizzano soprattutto al Sud mentre le convenzionali nel resto d’Italia, coerentemente con la distribuzione delle imprese sul territorio. Un ulteriore elemento distintivo deriva dal fatto che mentre le imprese biologiche che diversificano presentano un alto livello di istruzione, sono tendenzialmente più giovani e più grandi sia in confronto con quanti non diversificano sia tra le stesse imprese biologiche che diversificano, questa conclusione non si estende alle convenzionali. Difatti, tra le imprese convenzionali che diversificano, il livello di istruzione non è necessariamente alto, l’imprenditore non è sempre giovane e l’azienda può non essere di grandi dimensioni.
Qual è il ruolo dei finanziamenti pubblici?
Dal punto di vista del sostegno pubblico, i risultati mostrano che sia i pagamenti diretti che i contributi del PSR influiscono sulla propensione delle imprese a diversificare. Tuttavia, gli effetti sugli agricoltori biologici e convenzionali vanno in direzione opposta. Nel caso delle imprese convenzionali, i pagamenti del primo pilastro incidono negativamente, il che può dipendere dal fatto che questi sussidi producono un effetto benessere e riducono pertanto il bisogno di aumentare il reddito ricorrendo alla diversificazione. Nelle imprese biologiche, invece, gli effetti sono positivi. Gli agricoltori che ricevono un maggiore sostegno tendono a diversificare in misura più ampia rispetto alla media. In questo caso si può supporre che le maggiori risorse finanziarie messe a disposizione dalla PAC vengano impiegate per finanziare la diversificazione. Pertanto, nelle imprese biologiche, la motivazione che spinge verso la diversificazione non sembra essere quella di integrare il reddito ma di espandere l’attività in modo da sfruttare i benefici derivanti sia dalla produzione biologica.
Con riferimento al secondo pilastro, emerge che i contributi influiscono positivamente sull’adozione di strategie di diversificazione ma solo negli agricoltori convenzionali. Al contrario, questi pagamenti non esercitano un’influenza significativa su quelli biologici. Per di più, i risultati mostrano che le imprese biologiche che diversificano fanno minore richiesta di sostegno per sostenerne la realizzazione.
Dunque, quali politiche sono necessarie per migliorare la diversificazione delle imprese bio?
Secondo gli autori dello studio la diversificazione non è necessariamente un passaggio obbligato per le aziende marginali che intendano rimanere sul mercato.È una strategia imprenditoriale che richiede competenze specifiche e un’adeguata organizzazione. Tuttavia, le ragioni alla base della diversificazione differiscono a seconda del tipo di modello di produzione:
- Nel caso dell’agricoltura convenzionale, le imprese decidono di diversificare per aumentare il proprio reddito e, a tal fine, ricorrono al sostegno proveniente dal PSR.
- Nel caso dell’agricoltura biologica, invece, la diversificazione mostra di essere parte integrante del modello produttivo, indipendentemente dal sostegno pubblico. Per queste imprese, la localizzazione in aree meno competitive e la specializzazione in coltivazioni permanenti non costituiscono necessariamente fattori di debolezza, ma piuttosto caratteristiche distintive che possono essere ulteriormente rafforzate mediante strategie di diversificazione.
Da questi risultati discendono alcune implicazioni politiche. Una prima considerazione è che gli incentivi in favore della diversificazione appaiono in gran parte inefficaci nelle aziende biologiche. Le ragioni potrebbero essere ricercate, oltre che nelle caratteristiche prevalenti delle imprese, anche nei diversi livelli di redditività e nell’esistenza di sinergie tra le diverse attività. In questo caso dunque la richiesta di sostegno pubblico per la diversificazione sembrerebbe meno impellente, ma i produttori di bio beneficiano comunque di un sostegno specifico per la riconversione e il mantenimento del metodo. Dunque la domanda è: come distribuire al meglio i fondi tra le diverse tipologie di agricoltura?
Altra evidenza è che le aziende agricole più piccole e a conduzione familiare, le quali avrebbero tutto l’interesse ad integrare il reddito con la diversificazione, ma non diversificano per mancanza di risorse o per scarse competenze e capacità imprenditoriali, che impediscono loro di accedere al sostegno pubblico. Pertanto, ha commentato il ricercatore Andrea Bonfiglio a capo dello studio, la raccomandazione è di accelerare il processo di semplificazione amministrativa ed erogare servizi di formazione e consulenza al fine di contrastare il fenomeno crescente dell’abbandono dell’agricoltura soprattutto nelle aree marginali.