L’anno della pandemia ha ridefinito la mappa del consumo di ortofrutta in Italia. La consapevolezza del cambiamento in atto dopo un anno di epidemia da Covid-19, le sfide che si prospettano e le opportunità da cogliere appaiono chiare ai protagonisti della filiera ortofrutticola. È quanto emerso nel corso dell’evento online “L’ortofrutta nello scenario post Covid: come sono cambiati imprese, mercati e consumatori dopo un anno di pandemia” promosso e organizzato da CSO Italy e Nomisma, nell’anno dedicato dalle Nazioni Unite all’ortofrutta.
“Durante questi mesi si sono verificati fenomeni che confermano atti passati e che hanno subito un’accelerazione in seguito al ridefinirsi dello scenario generale”, ha esordito il direttore di CSO Italy Elisa Macchi.
In questo senso nella nuova mappa dei valori – secondo Ersilia Di Tullio di Nomisma – acquisiranno sempre maggiore importanza rispetto al passato: la preferenza per l’ortofrutta di origine italiana (sarà più rilevante per il 45% degli italiani), con una forte impronta “local” (35%); l’attenzione alla qualità, intesa come prodotto di stagione (42%), fresco (33%) e con garanzie di tracciabilità (34%) e la spinta al “green”, sia in termini di packaging riciclabile\ecosostenibile (36%) che di produzioni biologiche (23%). Infine, crescerà anche l’attenzione al prezzo, ma in maniera meno marcata (27%)”.
Ed è proprio rispetto all’attenzione al prezzo che Silvia Zucconi di Nomisma ha fatto un’importante riflessione: “Se è vero che all’interno di questa deriva green rientra pienamente anche il packaging (lo afferma con sicurezza il 32% degli italiani) e se è vero che solo il 5% dei consumatori dice di non considerare le caratteristiche dell’imballaggio quando acquista ortofrutta in GDO, è altrettanto vero che ad oggi non c’è disponibilità a pagare alcun surplus per confezioni più sostenibili. Tali aumenti di costi infatti, per i consumatori devono ricadere sul produttore o sull’insegna”.
Chiara Brandi