È dello scorso 13 ottobre la circolare ministeriale del MIPAAF che chiude una diatriba aperta dal Regolamento UE 848/2018 in vigore dal primo gennaio scorso, quando all’art. 6 eliminava l’obbligatorietà dell’indicazione del codice operatore e dell’ente certificatore dalle etichette dei prodotti biologici.
La disciplina europea che ha fatto ballare sulle sedie gli operatori del settore, è stata poi asseverata da un DM MIPAAF n. 229771 del 20 maggio scorso. Un provvedimento che ha suscitato una certa opposizione tra gli operatori di settore rappresentati da AssoBio, che oltre a lamentare una scarsa trasparenza per il consumatore sulla tracciabilità dei prodotti biologici, si erano interrogati sulle modalità di smaltimento delle vecchie etichette e sulla sostenibilità, ambientale ed economica, legate alla spesa necessaria per cambiare gli impianti di stampa in base alle nuove indicazioni di legge.
Con la circolare ministeriale interpretativa n. 0518932 del 13 ottobre scorso, questi timori sono venuti meno perché il MIPAAF ha specificato che rimane una facoltà in capo alle aziende bio quella di indicare o meno il loro codice, mantenendo l’obbligatorietà per quello dell’ente certificatore in etichetta.
“AssoBio è molto soddisfatta per questo risultato – fa sapere l’associazione in una nota esclusiva per GreenPlanet -. La circolare ministeriale è frutto di un intervento dell’Associazione a tutela delle imprese, al fine di poter permettere agli operatori bio di utilizzare le scorte delle etichette già in loro possesso, evitando così di sostenere costi aggiuntivi in un momento particolarmente complesso”.
Anche se lo spirito che ha mosso la stesura del Regolamento UE 848/2018 è quello di semplificare e armonizzare la normativa su questi temi, di fatto, però, ha aperto le porte a sperequazioni non solo dentro lo Stato italiano (stante la scelta affidata alle aziende se indicare o meno operatore e ente certificatore) ma anche tra Paese e Paese dell’Unione, posto che questa fluidità data dalle scelte aziendali rende il panorama delle etichette molto variegato.
In pratica, siamo ancora ben lontani da un concetto di Biologico uguale per tutta l’Unione europea.
“Per fare un altro esempio – ci spiega Erica Marrone, direttore di AQ e RS di Alce Nero (nella foto) – su come il settore si stia sviluppando a macchia di leopardo, si pensi alla normativa sulle contaminazioni ambientali e alle diverse interpretazioni che ha comportato nei singoli Stati membri. Con l’emanazione del DM di maggio alcuni operatori, sotto l’egida di AssoBio, si sono mossi proprio per capire come e se smaltire le vecchie etichette e per invocare il ripristino della situazione preesistente pur rendendo solo facoltative le diciture in etichetta relative a operatore e ente certificatore. Del resto cambiare le etichette comporta per le aziende spese importanti, diverse decine di migliaia di euro. Già sono costi sostenuti almeno una volta l’anno per le manutenzioni; se poi si aggiungono i cambi di norma, il costo si moltiplica”.
Sul tema della possibilità di una vera armonizzazione europea in tema di trasparenza della tracciabilità della filiera per il consumatore, si è espressa anche AssoCertBio. Il suo presidente Riccardo Cozzo (nella foto) ha così dichiarato a GreenPlanet: “È un tema che va discusso a livello europeo. Mentre la questione delle certificazioni, a ben guardare, si è risolta senza portare alcuna modifica sostanziale a quanto già previsto. Ci sarebbe un’altro modo per intervenire sugli obblighi di trasparenza per la tracciabilità della filiera nelle informazioni al consumatore: lavorando sul marchio italiano del bio previsto dalla legge sul bio. Ma qui il discorso è ancora tutto da sviluppare”.
Mariangela Latella
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