Opoa Marsia, a The Rome Table per portare il bio italiano nel mondo

Marco di Cicco Opoa Marsia

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Opoa Marsia, organizzazione di produttori del Fucino che ha un giro d’affari di 40 milioni di euro l’anno pari a circa 80 milioni di chili di ortaggi venduti, prodotti su una superficie di 1.200 ettari a campo aperto, spinge per incrementare la produzione Bio e l’export al fine di creare più valore aggiunto per i propri prodotti. Ne abbiamo parlato con Marco di Cicco, responsabile commerciale della Op abruzzese, durante lo svolgimento di The Rome Table, che si è svolta nella capitale, la scorsa settimana.

– Perché avete scelto di partecipare a The Rome Table e cosa vi aspettate da questi incontri?
“Questo format B2B ci è sembrato molto interessante. Trovarsi faccia a faccia con buyer ed importatori, seduti ad un tavolo per venti minuti, è una formula molto innovativa. Noi siamo venuti principalmente per incrementare l’export delle nostre produzioni dal Fucino. Siamo specializzati in ortaggi e verdure a foglia. Carote, finocchi, patate e cipolle sono articoli che abbiamo per dodici mesi l’anno. Poi c’è tutta la parte delle verdure a foglia, l’iceberg, ad esempio, sedano, radicchio, cavolo, cavolo verza, cavolfiore, ecc. Abbiamo un listino di circa 40 articoli”.

– Che percentuale rappresenta il Bio?
“Tra il 10 e il 12%. Gestire Bio e convenzionale insieme, è molto difficile per cui noi abbiamo deciso di separare nettamente le linee di processo e lavorazione Bio da quelle convenzionali. Questo è frutto di investimenti che abbiamo fatto negli anni. Siamo stati tra i primi, venti anni fa, a partire con il Bio e l’ultimo impianto dedicato a questo settore, lo abbiamo realizzato quattro anni fa. Il Bio, del resto, è quello che fa da traino al nostro export”.

– Perché?
“Perché all’estero è molto più apprezzato che in Italia. Per questo stiamo puntando a crescere in questo settore”.

– Quali sono i vostri piani di crescita?
“Provare a produrre in biologico tutti quei prodotti che oggi facciamo solo in convenzionale ma vogliamo estendere la certificazione anche ad altre coltivazioni”.

– Con la normativa sui nitrati, non deve essere semplice?
“Non è semplice ma non è neanche impossibile. Se non si accettano le sfide, non ha neanche senso fare questo lavoro. Noi abbiamo tutte le capacità tecniche che servono e ci auguriamo di potere raggiungere i nostri obiettivi”.

– Quali sono?
“Vogliamo aumentare il peso delle nostre proposte bio e portarlo almeno al 20% del totale entro il 2030, quindi puntiamo al raddoppio nei prossimi 10 anni, in linea, peraltro, con gli obiettivi UE”.

– Come vi distinguerete in un mercato, quello europeo, che sarà sempre più congestionato da prodotti Bio?
“Penso che questo settore debba crescere, prima di tutto, dentro i confini nazionali e poi si potrà iniziare a pensare al mercato europeo. In Italia c’è molto lavoro da fare perché il Bio è ancora poco conosciuto e, soprattutto, poco apprezzato. Basti fare un confronto con altri Paesi europei come la Francia e la Germania per accorgersi che la percentuale dei consumi è molto superiore a quella italiana. Il Bio va innanzitutto promosso nel nostro Paese e reso accessibile a tutti”.

A cosa si riferisce, ai prezzi o alla capacità di comunicarlo?
“A entrambe le cose. Ci deve essere un riconoscimento del Bio sul prezzo perché le rese per ettaro sono minori a fronte di investimenti maggiori ma è anche vero che c’è la necessità di lavorare sulla costruzione della domanda per fare apprezzare questo prodotto dal consumatore italiano. Importante anche lavorare per sensibilizzare la domanda di prodotto nazionale in generale, sia di prodotto organico che di convenzionale, perché sempre più spesso si crea la situazione paradossale in cui i prodotti italiani vengono liquidati a prezzi bassissimi, alcuni vengono addirittura buttati, e poi ti trovi sugli scaffali prodotto estero. Questo lavoro di sensibilizzazione va fatto in collaborazione con tutte le rappresentanze del mondo agricolo”.

– Parliamo di export. Che percentuale del vostro fatturato rappresenta?
“Adesso è una percentuale molto bassa, tra il 10 e il 12%. Questo dipende dal fatto che, noi produttori del Fucino siamo attivi soprattutto in estate quando in Italia, gli altri poli produttivi sono quasi tutti fermi. All’estero, al contrario andiamo a sovrapporci con le produzioni locali”.

– Quali strategie per espandere quindi il mercato estero e a quale obiettivo di crescita puntate?
“Puntiamo ad affermarci nei mercati nord europei con prodotti strategici che sono tipici italiani come il finocchio, l’iceberg o lo spinacio. Parlare di numeri di crescita adesso non è facile ma puntiamo al raddoppio della quota attuale”.

– Pensate a sviluppare una linea di IV Gamma?
“È un sogno nel cassetto della nostra azienda. Già adesso forniamo materia prima ai principali operatori del settore. L’idea è quella di affiancarci a dei partner commerciali, che già lavorano con noi, per potere crescere e, perché no, in un futuro magari creare anche un marchio nostro”.

Mariangela Latella 

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