In forte espansione l’azienda Brio – Alcenero con la prossima acquisizione di 50 nuovi soci e l’espansione degli areali Bio degli associati, con processi di conversione già in atto. Obiettivo: aumentare il calendario produttivo e la stagionalità e mitigare il rischio climatico iniziando a coltivare biologico su più Regioni.
Ce ne parla Luca Zocca (nella foto), marketing & Communication consultant di Brio – Alce Nero prima gamma, che abbiamo incontrato a Macfrut nello stand collettivo organizzato da Agrintesa.
– Può dirci qualcosa di più su questo processo di espansione in atto dell’azienda?
“Puntiamo ad allargare la base di agricoltori biologici. Noi facciamo parte del gruppo di Agrintesa che raccoglie migliaia di agricoltori anche sul convenzionale però registriamo una crescita importante del Bio a cui si stanno destinando sempre nuove coltivazioni. Questo da un lato, ci permette di estendere i quantitativi di prodotto Bio e avere forza sul mercato di modo da poter servire clienti importanti e allo stesso tempo avere una finestra di stagionalità più ampia con produzioni di eccellenza dislocate su più Regioni”.
– Quali?
“Le nostre sono il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Calabria, la Sicilia, la Puglia e la Campania. Così facendo, puntiamo anche a mitigare il rischio climatico che sul Bio è maggiore, diversificando l’origine delle produzioni”.
– Quante nuove aziende entreranno in Brio – Alce Nero?
“Abbiamo già 450 soci e pensiamo che possano aggiungersene, nel breve periodo, altri 50, disseminati nelle Regioni dove lavoriamo. Ma l’espansione sarà anche determinata dal fatto che, alcuni nostri soci che producono sia Bio che convenzionale, hanno in atto processi di conversione. Siamo già partiti con la mela dove abbiamo già siglato un nuovo contratto di filiera, per garantire ai produttori la giusta remunerazione, che coinvolge i produttori del Veneto, del Trentino e del Piemonte. Questo ci permette di avere maggior prodotto e più varietà e di allargare la nostra finestra di mercato”.
– Uno dei nuovi sbocchi di mercato a cui il Bio dovrebbe guardare, secondo gli operatori, una volta estese le superfici europee al 25% così come impostato con la strategia Farm to Fork della Commissione UE, sono i mercati terzi, dove il Bio europeo e, a maggior ragione quello italiano, leader di settore, è presente con pochissime quantità. Pensate di espandere l’export extra UE?
“Attualmente il nostro principale mercato di esportazione è l’Europa. Facciamo qualcosa negli USA, o in Sudamerica, ad esempio in Brasile, dove in particolare kiwi e mele Bio sono richieste sia per il valore aggiunto dato dal bollino ‘made in Italy’ che per la tempistica in controstagione. Ma esportate fuori dall’Unione Europea comporta due ordini di problemi non da poco. Il primo è il costo del trasporto aereo che incide parecchio. Il secondo è quello della shelf-life del prodotto che, con 4-5 giornate di viaggio, viene penalizzata. Peraltro bisogna anche considerare che non possiamo esportare ovunque anche per la mancanza di accordi commerciali bilaterali”.
– Per accelerare le aperture dei mercati terzi, avrebbe senso creare dei dossier solo sul Bio?
Cioè, se il blocco all’export sono le barriere fitosanitarie, la categoria di prodotto Bio (in questo caso made in Italy), non dovrebbe presentare particolari difficoltà sulla conformità alle richieste di qualsiasi Paese del mondo.
“No so se esistano dei dossier solo sul Bio per ogni categoria merceologica, ma un dato incontrovertibile è che la domanda di prodotto certificato all’estero sta crescendo. Ad esempio, in Cina dove sta crescendo notevolmente l’import di ortofrutta Bio. Potrebbe essere una riflessione da farsi che riguarderebbe non solo l’aspetto commerciale ma proprio tutto il settore Bio”.
Mariangela Latella
Fonte: Corriere Ortofrutticolo