Assistere ad una dichiarazione del CEO di Syngenta, quale quella che abbiamo letto in queste ultime ore, in cui le principali responsabilità della fame del mondo vengono attribuite all’agricoltura biologica è a dir poco incredibile (vedi news ).
Non tanto perché oltre trent’anni di biologico siano passati invano oppure perché non si perde occasione per attaccare ingiustificatamente il biologico (chi se ne occupa stabilmente da anni ne è ormai abituato!), ma soprattutto perché si strumentalizza un aspetto così drammatico come la fame nel mondo con il solo scopo di attaccare il biologico. Ciò è grave. E lo è tanto più se proviene da chi, per ruolo e responsabilità, dovrebbe sapere cos’è l’agricoltura, cos’è il biologico, cosa è stato in passato e quale ruolo può avere in futuro.
Tanta sperimentazione pluriennale condotta ormai da decine di stazioni di ricerca sparse in Italia e per il mondo, in primis il FIBL svizzero ma non solo, hanno dimostrato che il biologico può produrre con rese del tutto paragonabili a quelle ottenute in agricoltura convenzionale ed è nelle condizioni di sfamare le popolazioni dei Paesi con economie in fase di sviluppo rispetto a produzioni convenzionali destinate prevalentemente all’esportazione sui principali mercati mondiali.
Si tratta di affermazioni che non tengono conto del ruolo che la ricerca e la sperimentazione può giocare per migliorare le performance del biologico e lo abbiamo potuto notare negli ultimi 30 anni in cui il biologico è migliorato in qualità e quantità. Purtroppo, la diminuzione più drammatica nelle rese l’abbiamo notata nel convenzionale, a seguito del cambiamento climatico e, nello specifico, a causa della siccità e degli eventi estremi che ne sono la conseguenza.
In aggiunta, l’esaltazione delle rese dovute ad un eccessivo ricorso a mezzi tecnici, quali fertilizzanti e prodotti per la difesa in primis, non ha giustificazione economica per la nota legge dei rendimenti marginali decrescenti, ancor più vera di fronte all’aumento vertiginoso dei costi subìto in quest’ultimo anno. La preoccupazione circa le rese produttive è doverosa ma va affrontata mitigando il cambiamento climatico e ricorrendo alle recenti acquisizioni scientifico-sperimentali. Su quest’ultimo aspetto basti osservare lo sviluppo registrato negli ultimi vent’anni in materia di soluzioni per il biocontrollo, i biostimolanti ed i corroboranti che hanno permesso di proteggere le coltivazioni con risultati equivalenti all’uso di prodotti fitosanitari di sintesi e tutto ciò è stato possibile grazie anche a maggiori conoscenze sull’epidemiologia delle principali fitopatie.
Analogamente, affermare che in agricoltura biologica si produce più CO2 equivalente, perché si ara di più o in maggiore profondità, significa non conoscere l’agricoltura biologica che si fonda su rotazioni agronomiche appropriate, attenzione alla fertilità basata sull’arricchimento in sostanza organica, lavorazioni leggere, copertura vegetale dei suoli, sovesci e tecniche di “carbon farming”. Che il biologico debba essere sempre più efficiente e sostenibile, così come si debba aprire alle TEA-tecnologie di evoluzione assistita, non ne ho mai fatto mistero, ma il biologico non è l’antitesi della sostenibilità, ne è, come abbiamo argomentato qualche settimana fa, l’avamposto, perché il biologico è stato storicamente la palestra della sostenibilità, le cui migliori tecniche sono state “esportate” verso il convenzionale per renderlo più sostenibile.
La sostenibilità dell’agroalimentare non si avvantaggia dell’affossamento del biologico e l’agricoltura rigenerativa non è per nulla opposta al biologico perché non si realizza con il massiccio uso di mezzi tecnici per spingere al massimo le rese produttive. La sostenibilità è un concetto edonistico che porta ad una maggiore efficienza produttiva con una riduzione dell’uso di mezzi tecnici a parità di resa in una logica di efficienza economica. Concetti per i quali è sufficiente rammentare qualche nozione di economia e politica agraria.
Da ultimo, anche l’affermazione che il consumatore sia disposto a pagare molto di più per i prodotti biologici non è giustificata, visto e considerato che i corsi delle principali materie prime convenzionali in questi ultimi mesi hanno subìto incrementi di prezzo superiori rispetto agli analoghi prodotti biologici.
Tali affermazioni ci riportano indietro di trent’anni, perché non tengono conto dell’evoluzione che il settore agroalimentare, bio e convenzionale, ha avuto in questo periodo. Peccato che provengano da chi, invece, dovrebbe averne consapevolezza ed è proprio perché sono paradossali che, sono certo, contribuiranno a rafforzare l’esigenza indifferibile di avere un settore biologico maggiormente presente e al contempo sempre più efficiente.
Fabrizio Piva
Le incredibili affermazioni di chi associa il bio alla fame nel mondo
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Assistere ad una dichiarazione del CEO di Syngenta, quale quella che abbiamo letto in queste ultime ore, in cui le principali responsabilità della fame del mondo vengono attribuite all’agricoltura biologica è a dir poco incredibile (vedi news ).
Non tanto perché oltre trent’anni di biologico siano passati invano oppure perché non si perde occasione per attaccare ingiustificatamente il biologico (chi se ne occupa stabilmente da anni ne è ormai abituato!), ma soprattutto perché si strumentalizza un aspetto così drammatico come la fame nel mondo con il solo scopo di attaccare il biologico. Ciò è grave. E lo è tanto più se proviene da chi, per ruolo e responsabilità, dovrebbe sapere cos’è l’agricoltura, cos’è il biologico, cosa è stato in passato e quale ruolo può avere in futuro.
Tanta sperimentazione pluriennale condotta ormai da decine di stazioni di ricerca sparse in Italia e per il mondo, in primis il FIBL svizzero ma non solo, hanno dimostrato che il biologico può produrre con rese del tutto paragonabili a quelle ottenute in agricoltura convenzionale ed è nelle condizioni di sfamare le popolazioni dei Paesi con economie in fase di sviluppo rispetto a produzioni convenzionali destinate prevalentemente all’esportazione sui principali mercati mondiali.
Si tratta di affermazioni che non tengono conto del ruolo che la ricerca e la sperimentazione può giocare per migliorare le performance del biologico e lo abbiamo potuto notare negli ultimi 30 anni in cui il biologico è migliorato in qualità e quantità. Purtroppo, la diminuzione più drammatica nelle rese l’abbiamo notata nel convenzionale, a seguito del cambiamento climatico e, nello specifico, a causa della siccità e degli eventi estremi che ne sono la conseguenza.
In aggiunta, l’esaltazione delle rese dovute ad un eccessivo ricorso a mezzi tecnici, quali fertilizzanti e prodotti per la difesa in primis, non ha giustificazione economica per la nota legge dei rendimenti marginali decrescenti, ancor più vera di fronte all’aumento vertiginoso dei costi subìto in quest’ultimo anno. La preoccupazione circa le rese produttive è doverosa ma va affrontata mitigando il cambiamento climatico e ricorrendo alle recenti acquisizioni scientifico-sperimentali. Su quest’ultimo aspetto basti osservare lo sviluppo registrato negli ultimi vent’anni in materia di soluzioni per il biocontrollo, i biostimolanti ed i corroboranti che hanno permesso di proteggere le coltivazioni con risultati equivalenti all’uso di prodotti fitosanitari di sintesi e tutto ciò è stato possibile grazie anche a maggiori conoscenze sull’epidemiologia delle principali fitopatie.
Analogamente, affermare che in agricoltura biologica si produce più CO2 equivalente, perché si ara di più o in maggiore profondità, significa non conoscere l’agricoltura biologica che si fonda su rotazioni agronomiche appropriate, attenzione alla fertilità basata sull’arricchimento in sostanza organica, lavorazioni leggere, copertura vegetale dei suoli, sovesci e tecniche di “carbon farming”. Che il biologico debba essere sempre più efficiente e sostenibile, così come si debba aprire alle TEA-tecnologie di evoluzione assistita, non ne ho mai fatto mistero, ma il biologico non è l’antitesi della sostenibilità, ne è, come abbiamo argomentato qualche settimana fa, l’avamposto, perché il biologico è stato storicamente la palestra della sostenibilità, le cui migliori tecniche sono state “esportate” verso il convenzionale per renderlo più sostenibile.
La sostenibilità dell’agroalimentare non si avvantaggia dell’affossamento del biologico e l’agricoltura rigenerativa non è per nulla opposta al biologico perché non si realizza con il massiccio uso di mezzi tecnici per spingere al massimo le rese produttive. La sostenibilità è un concetto edonistico che porta ad una maggiore efficienza produttiva con una riduzione dell’uso di mezzi tecnici a parità di resa in una logica di efficienza economica. Concetti per i quali è sufficiente rammentare qualche nozione di economia e politica agraria.
Da ultimo, anche l’affermazione che il consumatore sia disposto a pagare molto di più per i prodotti biologici non è giustificata, visto e considerato che i corsi delle principali materie prime convenzionali in questi ultimi mesi hanno subìto incrementi di prezzo superiori rispetto agli analoghi prodotti biologici.
Tali affermazioni ci riportano indietro di trent’anni, perché non tengono conto dell’evoluzione che il settore agroalimentare, bio e convenzionale, ha avuto in questo periodo. Peccato che provengano da chi, invece, dovrebbe averne consapevolezza ed è proprio perché sono paradossali che, sono certo, contribuiranno a rafforzare l’esigenza indifferibile di avere un settore biologico maggiormente presente e al contempo sempre più efficiente.
Fabrizio Piva
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