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Le associazioni del Bio non cadano nella trappola: necessario mantenere un carattere distintivo
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Lo scorso 14 maggio la Commissione UE ha proposto una serie di semplificazioni in vista della nuova programmazione PAC post 2027 di cui abbiamo dato notizia (vedi news). Nella corsa alla semplificazione, che in tale contesto meglio sarebbe definire deregulation, rientra a pieno titolo il biologico in quanto le aziende agricole biologiche, certificate in conformità al Reg UE 848/2018, non sarebbero tenute a rispettare le seguenti BCAA (Buone Condizioni Agronomiche e Ambientali): 1,3,4,5,6 e 7. In effetti si tratta di un esonero rispetto a requisiti “orizzontali” che devono essere rispettati da tutte le aziende agricole che ricevono i pagamenti “diretti” del primo pilastro della PAC. Secondo la Commissione gli agricoltori biologici, dovendo rispettare i requisiti della normativa di settore, verrebbero considerati conformi ai requisiti previsti nelle suddette BCAA.
La BCAA 1 prevede il mantenimento dei prati permanenti rispetto alla superficie censita a livello nazionale nel 2018, con una diminuzione massima del 5% rispetto all’anno di riferimento. La BCAA 3 determina il divieto di bruciare le stoppie se non per motivi fitosanitari, stabiliti dalle Autorità fitosanitarie. La BCAA 4 stabilisce l’introduzione di fasce tampone lungo i corsi d’acqua di almeno 5 metri a partire dal ciglio di sponda, con il divieto di distribuire fertilizzanti e/o prodotti fitosanitari. La BCAA 5 fissa precise modalità di lavorazione e sistemazione del terreno anche su pendii declivi con una pendenza media > 10% al fine di ridurre i rischi di degrado ed erosione del suolo. La BCAA 6 definisce che i suoli non debbano rimanere “nudi” nei periodi più sensibili e, quindi, siano coperti da vegetazione per almeno 60 giorni nel periodo 15 settembre – 15 maggio oppure siano lasciati in campo i residui della coltura precedente nel periodo suindicato. La BCAA 7 fissa, invece, obblighi in materia di rotazione delle colture.
Ad eccezione della BCAA 7, i cui requisiti minimi per le aziende biologiche sono contemplati nella normativa nazionale e non nel Reg UE 848/2018, per tutte le altre BCAA citate la normativa comunitaria e/o nazionale bio non stabilisce alcun requisito o criterio di adempimento minimo con l’effetto che le aziende biologiche si troverebbero a dover rispettare criteri ambientali meno restrittivi rispetto a tutte le altre aziende agricole europee convenzionali. Più che “verdi per definizione” meglio sarebbe “convenzionali per interesse”.
La proposta della Commissione, in sintonia con tutte quelle pubblicate in questi ultimi mesi e tendenti a ridurre la portata del Green Deal quale elemento che mina la competitività del modello economico UE, è pericolosa per il concetto stesso di biologico. Per la prima volta la Commissione propone di esonerare gli operatori biologici dal dover rispettare requisiti ambientali ed agronomici previsti per tutti gli operatori nella normativa “orizzontale”, riducendo di fatto il biologico ad uno dei tanti sistemi produttivi che si ispirano alla sostenibilità e non più al modello che da sempre viene considerato il più sostenibile perdendone di fatto il ruolo di apripista. Il biologico non può ridursi ad un mero strumento della PAC ma deve mantenere, pena il suo declino, il ruolo di modello di consumo e di sviluppo: non possono essere gli incentivi comunitari di stampo agricolo a guidare la crescita del settore e, nel contempo, la loro semplificazione basata su una falsa maggiore competitività, ma piuttosto una vision di sviluppo sostenibile equilibrato che coinvolga il consumatore. Se il biologico non potrà vantare standard ambientali superiori rispetto all’agricoltura convenzionale come sarà possibile fare leva sui suoi servizi ecosistemici e spingere il consumatore ad operare una scelta sostenibile consapevole?
Con questa proposta la Commissione “normalizza” il settore biologico all’interno del comparto delle varie sostenibilità e ne fa ridurre la percezione di settore “superiore” sia da parte dell’opinione pubblica che del mercato nelle sue varie accezioni. Le associazioni del biologico non cadano nella trappola di una supposta semplificazione che nel breve periodo potrebbe facilitare gli adempimenti burocratici dei produttori agricoli, ma piuttosto si preoccupino di mantenere il carattere distintivo del biologico nel lungo periodo e ben al di là delle programmazioni della PAC pensando di più al ruolo del mercato e del consumatore e meno agli incentivi pubblici, già oggi in diminuzione e sempre meno significativi nell’orientare i consumi.
Fabrizio Piva
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