L’agricoltura bio salva le terre dall’abbandono, ecco alcuni progetti in Italia

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Incolti o abbandonati, in Italia ci sono 3,5 milioni di ettari di terreni agricoli inattivi, cioè improduttivi da almeno tre anni.

È una perdita pesante sotto vari aspetti: economico, occupazionale e ambientale. Tra questi ultimi i problemi maggiori sono derivanti dalla mancata manutenzione del territorio e dal degrado, fenomeni particolarmente gravi in una realtà come quella italiana dove il 91% dei Comuni è a rischio frane e alluvioni.

La buona notizia è che negli ultimi anni le cose stanno cambiando e si sta registrando un riavvicinamento all’agricoltura, specie da parte dei più giovani. Crescono gli occupati nel settore agricolo e aumentano i giovani imprenditori agricoli Under 35: più 8% negli ultimi cinque anni. Il ritorno all’agricoltura in molti casi rappresenta una risposta al degrado ambientale, all’inquinamento e allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e spesso si lega alla proposta di un modello nuovo di “fare agricoltura”.

In questo scenario, per esempio, si colloca la storia del Borghetto San Carlo sulla via Cassia a Roma, un complesso agricolo costituito da 24 ettari di terreno e cinque casali storici dei primi del Novecento restituito in questi giorni ai romani dopo una lunga fase di abbandono. Parecchi anni fa, nell’ambito di una compensazione edificatoria, la società Mezzaroma ha ceduto all’amministrazione capitolina questi appezzamenti (per una superficie complessiva di circa 1.700 metri quadrati), che sono tornati ad essere produttivi grazie alla cooperativa agricola Co.rag.gio (Cooperativa Romana Agricoltura Giovani) che ha scommesso sull’agroecologia, sulla difesa della biodiversità locale e sull’integrazione sociale.

“Borghetto è diventato un sorta di progetto pilota che dimostra le possibilità dell’agricoltura urbana multifunzionale sul suolo pubblico”, hanno spiegato dalla cooperativa. “Affidare terre pubbliche significa creare presidi ambientali di biodiversità grazie alle pratiche agricole biologiche, creare occupazione favorendo lo sviluppo ecologico, ospitare progetti che hanno il controllo delle amministrazioni”.

“La nostra amministrazione vuole scommettere sulla vocazione agricola della città che si salva se entriamo in una relazione positiva tra città e campagna, tra terre pubbliche e filiere private, riportando l’agricoltura tra i primi asset di questa città”, ha spiegato Sabrina Alfonsi, assessora all’Agricoltura, Ambiente e ciclo dei rifiuti del Comune di Roma. “Abbiamo scelto di puntare sull’agricoltura rigenerativa, una pratica caratterizzata da una serie di tecniche di coltivazione che, combinando esperienze antiche e conoscenze scientifiche moderne, permette di beneficiare delle risorse offerte dalla terra stessa.”

Il recupero dei terreni incolti a Roma non si ferma al Borghetto San Carlo. Proprio in queste settimane la giunta di Roma Capitale ha definito le linee guida delle procedure e i criteri di assegnazione dei terreni per incentivare la nuova imprenditoria agricola. Verranno censite le terre pubbliche incluse nel patrimonio capitolino per favorire l’imprenditoria agricola Under 40, le coltivazioni biologiche, la promozione della biodiversità, le attività rivolte allo sviluppo delle energie rinnovabili e al risparmio energetico, la nuova occupazione.

Il processo di recupero si sta allargando in tutta Italia partendo dal censimento dei terreni incolti e abbandonati. È quanto fa ad esempio Sibater, un progetto di supporto all’attuazione della Banca delle Terre rivolto ai Comuni delle 8 Regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia).

Nel Parco Nord Milano due giovani agricoltori hanno dato vita a un frutteto urbano recuperando un’area di 10 ettari e piantando 6 mila alberi di ciliegie. Un vero e proprio self service della ciliegia a prezzi stracciati: i frutti potranno essere raccolti direttamente dai cittadini (dopo essere stati istruiti sul come prenderli senza danneggiare le piante).

“Un cereseto in un parco urbano – hanno precisato da Sibater – rappresenta una nuova sfida e un segnale di cambiamento nella relazione tra agricoltura urbana e consumi dei cittadini. La realizzazione di questo frutteto è un esempio di integrazione tra agricoltura e natura che, oltre a ricostruire il paesaggio creando bellezza e rafforzando la rete ecologica del territorio, promuove una produzione sempre più in relazione con la città, consacrando un legame diretto tra chi produce e chi consuma”.

Fonte: Huffingtonpost

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