Chiamata in causa dall’editoriale del direttore di GreenPlanet Antonio Felice, la presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini ci spiega in una lunga intervista l’importanza di fare fronte comune a difesa del settore della zootecnia bio messo a dura prova dalla flessione dei consumi, da una politica bizzarra che separa l’allevamento dall’agricoltura trasformando il letame da risorsa a rifiuto da smaltire e, ultimo solo in ordine temporale, dal terremoto provocato dalla trasmissione Report.
1. L’intero settore della carne biologica è stato messo sotto esame dal “caso Fileni”. Come si pone FederBio nei confronti dell’inchiesta di Report e di tutte le polemiche che ne sono seguite?
“La trasmissione di Report di Rai 3 ha mandato in onda un’inchiesta sul gruppo Fileni, principale allevatore di polli e tacchini da carne biologici in Italia e probabilmente in UE, anche se questo tipo di allevamento rispetto al convenzionale di tipo intensivo rappresenta solo l’11% del fatturato del gruppo. Ed è proprio la doppia modalità di allevamento che ha reso non chiara la distinzione fra criticità reali o presunte riferibili all’allevamento biologico e a quello convenzionale, generando confusione a danno essenzialmente del biologico. Il conduttore ha tenuto a precisare, a più riprese, che l’intento dell’inchiesta riguardava le attività dell’azienda e non certo mettere in discussione il settore biologico in quanto tale, considerato come la strada principale per ridurre l’impatto degli allevamenti intensivi, affermando però che se ci sono delle anomalie bisogna avere il coraggio di denunciarle per poterle correggere. Proprio in considerazione di questa premessa, abbiamo ritenuto che dovessero essere l’azienda e i soggetti responsabili del controllo e della vigilanza a chiarire direttamente quanto emerso nella trasmissione. È evidente, tuttavia, che i chiarimenti che sono seguiti da parte dell’azienda e dell’organismo di controllo non sono stati esaustivi nella risposta alle molte critiche sul fronte dei media e dei tanti cittadini che hanno espresso la loro opinione tramite i social o scrivendo alle nostre associazioni per esprimere come e quanto tutta la vicenda abbia messo in crisi la loro fiducia nei confronti del bio. E questo è il danno più grande per il biologico, incrinare la fiducia dei cittadini nei confronti del bio e quindi, a prescindere dai distinguo fatti dal conduttore della trasmissione, il danno di reputazione per il settore e in particolare per l’allevamento biologico è molto rilevante”.
2. Qual è il ruolo dell’associazionismo del bio in questa delicata fase per il comparto?
“Il compito principale delle Associazioni del bio in questo momento è tutelare il settore nel suo insieme e la priorità è proprio puntare a recuperare e a mantenere la piena fiducia dei cittadini senza la quale non c’è futuro per il bio. Per questo occorre informare ancora con maggior chiarezza sui valori fondamentali del bio, sul metodo con cui si produce e sulle caratteristiche dei sistemi di controllo e vigilanza per garantire la totale trasparenza del settore del settore, anche attraverso l’utilizzo delle innovazioni che sono a disposizione a partire dai sistemi digitali. Bisogna anche far comprendere ai cittadini che una parte importante, per un futuro più sostenibile, sta nelle loro mani. Servono scelte responsabili finalizzate a consumare meno carne preferendo la qualità al giusto prezzo invece della quantità a basso costo. Infine, serve analizzare le criticità per superarle puntando a un’applicazione più avanzata del regolamento sull’allevamento bio, che risponda ad un approccio etico rigoroso, fondato sul benessere animale e sul rapporto effettivo con la terra destinata al pascolo degli animali per salvaguardare realmente i valori del bio. Per questo FederBio già da diversi anni ha adottato un proprio standard “High Welfare FederBio” ed è questo il momento per rilanciarne l’adozione da parte delle imprese zootecniche che investono sul bio. È proprio questa la proposta che abbiamo fatto all’azienda Fileni, che ci auguriamo la accolga, ossia utilizzare questa fase critica per progredire sul versante della sostenibilità e del benessere animale adottando lo standard FederBio, con il necessario supporto tecnico da parte nostra. Se il nostro ruolo si fosse limitato ad una difesa d’ufficio dell’azienda, come si è sostenuto dalle colonne di questa testata, non solo non avremmo svolto la nostra funzione in maniera adeguata, ma non avremmo fornito un contributo utile a recuperare la fiducia dei cittadini”.
3. Come l’informazione B2C dovrebbe essere gestita affinché il consumatore non perda fiducia nel comparto? Che ruolo ha in questo il Quaderno Allevamenti presentato alla Festa del Bio a Milano?
“Il Quaderno fa il punto della situazione sugli allevamenti intensivi e su come contribuiscono in maniera determinante al riscaldamento globale, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Nel nostro Paese il peso della zootecnia sulle emissioni climalteranti evidenzia una chiara corrispondenza con le aree di forte concentrazione degli allevamenti. Tutto ciò indica la necessità di una svolta verso l’allevamento sostenibile e non solo per la tutela ambientale, ma anche per quanto riguarda l’aspetto etico. Continua infatti a crescere il numero delle persone che trova inaccettabile infliggere agli animali le sofferenze prodotte dagli allevamenti intensivi. Le condizioni imposte in queste strutture rendono la sopravvivenza degli animali impossibile senza un uso massiccio di antibiotici e di altri medicinali, il che produce un impatto negativo anche sulla salute umana. Puntare sul biologico significa distinguersi in maniera netta dai metodi dell’allevamento intensivo considerando il rispetto dell’etologia degli animali, il legame con la terra per garantire il pascolamento e l’integrazione tra produzioni vegetali e produzioni animali per recupere la fertilità del suolo. L’aver separato agricoltura e allevamento ha trasformato il letame da risorsa in problema, creando da una parte inquinamento delle acque e del suolo e dall’altra carenza di nutrienti per il terreno. È a questi chiari obiettivi che risponde lo standard FederBio, che prevede: l’obbligo di pascolo per almeno 120 giorni l’anno per bovini, suini e ovini per un reale rapporto tra la conduzione dei terreni e gli animali allevati; l’utilizzo di razze a lento accrescimento, a duplice attitudine e a minore produttività; il perseguimento deciso del benessere animale anche vietando una serie di operazioni che vengono attualmente praticate negli allevamenti. Solo se puntiamo a questi obiettivi informando i cittadini in maniera trasparente, anche utilizzando strumenti innovativi di partecipazione, saremo in grado di mantenere e anche di accrescere la loro fiducia nel biologico”.
4. Il settore mondiale del bio è riunito in questi giorni a Norimberga, da addetti ai lavori cosa ci si può aspettare per il futuro del biologico? A livello generale, quali sono i trend che si stanno profilando e come ci si può preparare ad affrontarli?
“Il momento è molto delicato per il nostro settore. Da un lato si punta, soprattutto a livello europeo con la Strategia Farm to Fork, a far crescere il biologico per garantire la transizione ecologica dei sistemi agricoli e alimentari, dall’altro, allo stesso tempo, ci sono molte organizzazioni che si stanno alleando per bloccare proprio gli obiettivi indicati nella Farm to Fork. Se a questo si unisce la situazione di stallo nei consumi interni di bio registrata negli ultimi mesi in molti Paesi europei a causa della crisi che stiamo attraversando e che ha determinato l’impoverimento di tante famiglie, il rischio vero è di fare passi indietro che sarebbero disastrosi in questa fase. L’aggravarsi continuo dell’emergenza climatica in corso dovrebbe spingere invece ad accelerare i tempi della transizione agroecologica per i sistemi agricoli e alimentari e il biologico è il metodo che abbiamo a disposizione per questo. Occasioni autorevoli come il Salone internazionale di Biofach vanno utilizzate al meglio per confrontarsi, scambiare esperienze e soprattutto per fare sistema per spingere le istituzioni e i governi a sostenere la crescita del bio sia dal punto della produzione che dei consumi con un investimento in ricerca e innovazione che in questa fase è assolutamente strategico”.
Chiara Brandi