Sono anni che ci riempiamo la bocca della parola sostenibilità, anni che sentiamo parlare del tavolo a tre gambe: la gamba della sostenibilità ambientale, quella della sostenibilità sociale, infine quella della sostenibilità economica. Un tavolo a quattro gambe sarebbe più stabile ma pare che la quarta gamba, nel caso specifico, non si trovi. Forse è per questo che la sostenibilità resta un concetto, dopo anni di discussioni sul tema, non ben definito, non ancora racchiuso entro confini definiti, come conferma il fatto che un gruppo di lavoro a Bruxelles si sta prendendo la briga di ricercare una definizione precisa della sostenibilità, in modo che su quella definizione si possa costruire, appunto con più precisione, una politica europea per l’ambiente, per la società, per l’economia.
In ogni caso, a questa parola ci siamo un po’ tutti affezionati, ci cogliamo una méta su cui impegnarsi, l’obiettivo di un’agricoltura se non addirittura di un mondo migliore. Qualcosa di sostenibile è qualcosa di positivo, traccia una strada percorribile verso condizioni generali migliori.
Il tema di questi terribili giorni è che nella culla della sostenibilità, nella patria dei diritti e della democrazia, nella debole Europa forte solo dei suoi valori, tutto rischia di andare in fumo. La guerra segna il crollo della sostenibilità. Sotto i cingoli dei carri armati si spezzano le tre gambe del tavolo, non sta in piedi più niente. L’impegno per l’ambiente viene oscurato dal fumo nero delle bombe e finisce annichilito dal fuoco delle esplosioni, i traguardi sociali precipitano nella disperazione e nella paura di un buio scantinato adattato a rifugio, le aspettative economiche dei singoli crollano con gli edifici bombardati. Oggi in Ucraina, domani – non sia mai – in un possibile conflitto allargato. Al di là dei personaggi in campo, al di là della NATO e dell’Unione Europea, al di là della propaganda, al di là di tutto, siamo di fronte agli interessi strategici di una superpotenza da una parte e al diritto all’autodeterminazione di un popolo dall’altra. Trovare una sintesi che rappresenti una soluzione onorevole per entrambe le parti è praticamente impossibile. O vincerà Davide, o vincerà Golia.
In un frangente così drammatico, che riporta i meno giovani agli anni della Guerra Fredda e i più anziani alla Seconda Guerra Mondiale, si coglie la grandezza di un valore essenziale, di cui nemmeno la sostenibilità può fare a meno: la pace.
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La guerra segna il crollo della sostenibilità
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Sono anni che ci riempiamo la bocca della parola sostenibilità, anni che sentiamo parlare del tavolo a tre gambe: la gamba della sostenibilità ambientale, quella della sostenibilità sociale, infine quella della sostenibilità economica. Un tavolo a quattro gambe sarebbe più stabile ma pare che la quarta gamba, nel caso specifico, non si trovi. Forse è per questo che la sostenibilità resta un concetto, dopo anni di discussioni sul tema, non ben definito, non ancora racchiuso entro confini definiti, come conferma il fatto che un gruppo di lavoro a Bruxelles si sta prendendo la briga di ricercare una definizione precisa della sostenibilità, in modo che su quella definizione si possa costruire, appunto con più precisione, una politica europea per l’ambiente, per la società, per l’economia.
In ogni caso, a questa parola ci siamo un po’ tutti affezionati, ci cogliamo una méta su cui impegnarsi, l’obiettivo di un’agricoltura se non addirittura di un mondo migliore. Qualcosa di sostenibile è qualcosa di positivo, traccia una strada percorribile verso condizioni generali migliori.
Il tema di questi terribili giorni è che nella culla della sostenibilità, nella patria dei diritti e della democrazia, nella debole Europa forte solo dei suoi valori, tutto rischia di andare in fumo. La guerra segna il crollo della sostenibilità. Sotto i cingoli dei carri armati si spezzano le tre gambe del tavolo, non sta in piedi più niente. L’impegno per l’ambiente viene oscurato dal fumo nero delle bombe e finisce annichilito dal fuoco delle esplosioni, i traguardi sociali precipitano nella disperazione e nella paura di un buio scantinato adattato a rifugio, le aspettative economiche dei singoli crollano con gli edifici bombardati. Oggi in Ucraina, domani – non sia mai – in un possibile conflitto allargato. Al di là dei personaggi in campo, al di là della NATO e dell’Unione Europea, al di là della propaganda, al di là di tutto, siamo di fronte agli interessi strategici di una superpotenza da una parte e al diritto all’autodeterminazione di un popolo dall’altra. Trovare una sintesi che rappresenti una soluzione onorevole per entrambe le parti è praticamente impossibile. O vincerà Davide, o vincerà Golia.
In un frangente così drammatico, che riporta i meno giovani agli anni della Guerra Fredda e i più anziani alla Seconda Guerra Mondiale, si coglie la grandezza di un valore essenziale, di cui nemmeno la sostenibilità può fare a meno: la pace.
Antonio Felice
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