L’esportazione è una grande opportunità per le imprese italiane del biologico, ma non mancano le sfide da affrontare. Se ne è parlato nel convegno “Internazionalizzazione del bio Made in Italy” organizzato da Assobio in occasione dell’ultima edizione di Cibus. “Guardando alle nostre associate – ha affermato Nicoletta Maffini, presidente di Assobio – credo che una parte delle aziende siano pronte ad affrontare le sfide dell’internazionalizzazione, ma forse la maggior parte ha ancora bisogno di allenarsi a compiere questo passaggio”.
“Il nostro territorio – ha continuato – è un grande produttore di biologico, sicuramente nel Sud Italia, ma non solo. Gran parte di questo prodotto, però, viene consumato non tanto in Italia quanto all’estero”. In effetti, il biologico italiano, forte anche del generale apprezzamento del Made in Italy, gode di grande attenzione nei mercati internazionali, dove c’è anche una maggiore disponibilità a riconoscere una differenza di prezzo ai prodotti che hanno caratteristiche distintive, quali quelle della certificazione biologica”.
Attraverso la piattaforma ITA.BIO, Nomisma da alcuni anni monitora l’export di prodotti biologici italiani. “L’export del biologico italiano – ha spiegato Silvia Zucconi, responsabile marketing intelligence di Nomisma (nella foto sopra) – vale oltre 3,6 miliardi di euro (anno terminante luglio 2023). Il dato importante è la crescita nel lungo periodo: se rispetto al 2022 le vendite hanno fatto segnare +8%, la crescita rispetto al 2012 è del 203%”. Le esportazioni sono costituite all’81% da prodotti agrifood, per un valore di oltre 2,9 miliardi di euro e per la restante quota dal vino (19%, 670 milioni di euro).
“Il dato interessante – ha sottolineato Zucconi – è che sui mercati internazionali spesso la spesa pro-capite per il biologico è superiore a quella italiana, che si attesta intorno ai 60 euro/anno. La Svizzera vanta oltre 400 € spesi ogni anno, seguita da Danimarca (365 euro), e Austria (274 euro). Anche Germania e Francia sono mercati molto interessanti”.
Proprio la Germania, insieme al Benelux e i Paesi Nordici sono stati i mercati di destinazione più importanti per il bio italiano nel 2022 e sono ritenuti anche i più promettenti. “Le imprese – ha precisato Zucconi – tendono sempre a pensare di mercati di prossimità, ma anche i mercati meno attesi possono rappresentare delle interessanti opportunità”. Indagini effettuate da Nomisma sui consumatori esteri di produttori biologici hanno rivelato che il 45% degli americani mette al primo posto l’Italia tra i produttori di alimenti bio di qualità, nei nordics la quota si attesta al 38%, nel Benelux al 30%.
Il dato è interessante perché si tratta di Paesi con una forte base di consumatori di alimenti bio. Negli Stati Uniti l’89% dei consumatori ha acquistato biologico almeno una volta nell’ultimo anno, nei Nordics l’87%, in Canada il 76%, in Olanda e in Belgio il 72%.
Tra i prodotti più ricercati nei principali mercati internazionali figurano i freschi. “Tra gli user bio, per il 45% degli intervistati – ha commentato Zucconi – il biologico è la prima scelta per frutta e verdura. Per carne e uova tale preferenza si attesta al 34%, per latte e latticini al 33%. Il 31% delle famiglie con bambini sceglie preferenzialmente il prodotto biologico quando deve comperare alimenti per l’infanzia”.
Se l’apprezzamento per i prodotti bio è alto su diversi mercati, anche il biologico italiano gode di grande favore. Nei Paesi nordici il 65% dei cittadini ha acquistato almeno una volta un prodotto biologico Made in Itay nell’ultimo anno, nel Benelux il 36%, in USA e Canada circa un quarto della popolazione. “Abbiamo notato – ha rimarcato Zucconi – anche un forte interesse ad acquistare un nuovo prodotto bio, qualora fosse disponibile a scaffale, soprattutto nei Paesi nordici (85%), negli Emirati Arabi Uniti (82%), negli USA (65%) e in Messico (67%). Inoltre c’è una diffusa propensione ad aumentare il consumo dei prodotti bio. Per sfruttare al meglio questo potenziale, le principali leve da utilizzare sono il rendere disponibili i prodotti nei negozi e comunicarne al meglio le caratteristiche distintive”.
Presidiare i mercati internazionali significa quindi anche investire in promozione. “Inoltre – ha commentato Nicoletta Maffini – per sviluppare volumi significativi bisogna lavorare sulla frequenza di acquisto”.
Non è semplice, anche perché anche fuori dall’Italia stanno crescendo le produzioni bio. “Per esempio – ha spiegato Brunella Saccone, dirigente dell’Ufficio agroalimentare di ICE Agenzia (nella foto) – l’India sta diventando un riferimento per la produzione bio nell’Oriente, e l’Australia grazie alla sua biodiversità e varietà di clima produce gran parte del biologico che consuma. Il nostro export fatica ad arrivare così lontano”.
Inoltre, l’Italia è soprattutto un Paese di trasformazione, che ha bisogno di materia prima bio proveniente da varie aree del mondo, che risponda ai requisiti delle norme europee. “La Cina – ha sottolineato Saccone – era uno dei nostri mercati di fornitura, ma con l’incremento dei costi delle catene di approvvigionamento, non è più così accessibile. L’America Latina è un fornitore per molti prodotti, ma Ecuador e Uruguay cominciano a risentire a risentire di quelli che ritengono standard troppo stringenti da parte dell’Unione Europea. Le aziende di trasformazione italiane devono occuparsi di accompagnare i loro fornitori locali nell’adeguamento alle norme comunitarie”.
“Per rispondere a questi bisogni – ha concluso Nicoletta Maffini – è necessario fare rete, cosa in cui forse in Italia non siamo molto bravi. Tra associazioni stiamo cercando di costruire un percorso di crescita di collaborazione, affinché si possano unire le forze e fare delle azioni concrete”.
Elena Consonni