Un divieto immediato dell’utilizzo del glifosato e di tutti gli erbicidi che lo contengono. È questa la richiesta di AIAB al governo, a seguito della recente pubblicazione su Environmental Health dei risultati dello studio condotto dal Centro di Ricerca sul Cancro dell’Istituto Ramazzini di Bologna e durato oltre 10 anni, che stabiliscono finalmente che il glifosato è cancerogeno per l’uomo, anche alle dosi minime fino ad oggi considerate innocue.
Lo studio è stato inviato all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ma prima di ogni decisione il governo italiano deve vietare l’uso del micidiale pesticida a tutela della salute pubblica e delle risorse naturali.
La richiesta fatta già molti anni fa da AIAB, promotrice della coalizione STOP GLIFOSATO, si basava sulle numerose evidenze scientifiche e pubblicazioni che portarono anche l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) a stabilire, già nel 2015, la “probabile” cancerogenità per l’uomo del glifosato.
Ma, al momento dell’ennesimo rinnovo per la commercializzazione del pesticida, in uso sin dagli anni 70 e con brevetto scaduto nel 2001, il principio di precauzione non fu applicato. Furono molte, infatti, le pressioni di Monsanto prima e di Bayer poi sull’EFSA che basò la sua decisione a “tutela della salute dei cittadini europei” su alcuni dossier di dubbio valore scientifico, prodotti dagli stessi interessati e giudicati da funzionari già dipendenti della multinazionale.
Il Roundup (formulato commerciale del glifosato in Europa) è l’erbicida più utilizzato ed è ammesso in tutti i disciplinari regionali di agricoltura integrata, quella che molti millantano come “sostenibile” e che, tramite i CSR è premiata dall’UE, spesso quanto il biologico, come misura agroambientale.
Non a caso il glifosato e il suo metabolita Ampa continuano a essere i principi attivi che l’Istituto per la Protezione e la ricerca Ambientale (ISPRA) governato dal Ministero dell’Ambiente continua a rilevare, dal 2007, come i più presenti nelle acque superficiali e profonde. La sua presenza nelle dosi considerate innocue per l’uomo, e che ora si sa con certezza non essere più tali, è stata rilevata ovunque, in molti alimenti comuni come pasta, birra, prodotti da forno ed è stata rintracciata nelle urine di molta popolazione, anche delle donne in gravidanza.
Fonte: Ufficio Stampa AIAB