Partendo dagli spunti offerti dalla ricerca SWG presentata a Tuttofood nel convegno “Il Bio Italiano che piace al mondo” e organizzato da AssoBio, tre aziende italiane – Rigoni di Asiago, Bio Organica Italia e Gino Girolomoni cooperativa agricola – hanno messo a confronto le loro esperienze di approccio ai mercati internazionali. Tratteggiando un quadro molto variegato e talvolta sorprendente.
La cooperativa Gino Girolomoni esporta il 70% della propria produzione di pasta biologica. “Noi vendiamo in circa 30 Paesi – ha sottolineato Giovanni Battista Girolomoni, presidente della cooperativa – ma Francia e Germania sono, insieme all’Italia, i nostri primi due mercati. Un altro mercato importante sono gli USA. Parlando di estero è difficile generalizzare perché in ogni mercato lavoriamo in maniera diversa. Per esempio, in Nuova Zelanda, che è il Paese più lontano in cui arriviamo, vendiamo a uno specialista di prodotti italiani gourmet, dove il bio è un valore aggiunto. In Francia e Germania siamo molto forti nel canale specializzato, mentre negli Stati Uniti il canale principale è quello dei negozi naturali, che non corrispondono esattamente ai nostri negozi bio. La nostra è stata una delle prime paste biologiche ad arrivare sul mercato, nel tempo il mercato si è fatto più competitivo. In un mondo che cambia, devi avere dei connotati distintivi, guardando anche alle peculiarità di ogni Paese. In Francia, per citare un caso, è molto apprezzata la vendita di prodotto sfuso e gran parte delle nostre vendite avvengono così. Questo sarebbe impensabile in altri mercati”.
Girolomoni ha condiviso anche una riflessione sul tema prezzo. “Qualche mese fa ho visitato una catena distributiva tedesca che aveva tre linee di pasta private label, quella convenzionale, proposta a 79 centesimi; la linea bio a 90, quella trafilata al bronzo a €1,19. Quindi il premium price riconosciuto al biologico era solo di 10 centesimi, contro i 40 della trafilatura, che è sì un valore aggiunto, ma forse non tale da giustificare questa maggiorazione rispetto al biologico. Con queste premesse, per soli 10 centesimo in più, il tasso di penetrazione della pasta biologica nel mercato tedesco dovrebbe essere molto più alto. Forse il prezzo, pur essendo un fattore determinante nella scelta, non basta, se alla base non c’è un valore aggiunto e riconosciuto”.
Si è focalizzato sul mercato tedesco Carlo Gaudiano, amministratore delegato di Bio Organica Italia. “Il mercato tedesco – ha raccontato – è l’obiettivo principale per tutte le aziende italiane che producono prodotti biologici. E’ il mercato più maturo, più consapevole, però oggi allo stesso tempo anche più complicato. È il mercato dove è più evidente la stratificazione e il consumatore ha la maggiore consapevolezza nel distinguere i vari canai di distribuzione. In questo periodo, dove c’è un po’ di scetticismo nei confronti del mercato americano, non guardiamo agli USA per progetti a lungo respiro, ma siamo tornati a concentrarci sul nostro mercato storico, quello tedesco, acquisendo anche la certificazione Naturland. Attraverso di essa raggiungiamo un target di consumatore più evoluto, ancora più consapevole in termine di requisiti anche sociali che un’azienda bio deve avere. Oggi il consumatore tedesco percepisce un biologico mainstream, con livelli di prezzo estremamente accessibili, e un biologico premium, quello che io chiamo biologico 2.0 che preveda standard sociali, etici e soprattutto di rispetto della biodiversità. Tra i mercati non convenzionali credo che la Corea del Sud possa essere un’opportunità a cui si pensa poco. Per noi è un mercato in forte espansione, soprattutto in quella in quella parte del globo”.
Un altro esempio emblematico di come approcciare i mercati esteri viene da Rigoni di Asiago, che vede nella Francia il primo mercato (Italia compresa) per le creme spalmabili. “Quando siamo entrati per la prima volta sul mercato francese – ha ricordato Cristina Cossa, direttrice marketing dell’azienda veneta – in cui il consumo di confetture è molto alto, abbiamo pensato che avrebbero avuto successo le nostre confetture bio senza zuccheri, ma ci siamo subito scontrati con il fatto che il consumatore francese vuole la confettura, ma con tanto zucchero. Quindi abbiamo tentato la strada della crema spalmabile, in cui era presente un solo player italiano, non biologico. Quando abbiamo presentato il prodotto abbiamo raccolto subito un notevole interesse. Attraverso lo storytelling abbiamo cercato di costruire la credibilità come marca perché anche nel biologico la marca deve poter esprimere dei valori ed arrivare ad essere credibile per il consumatore. Abbiamo guardato anche al mercato USA, che però è più difficile perché richiederebbe grossi investimenti: ha una cultura sicuramente differente, già a colazione. Ora stiamo lavorando anche sul mercato cinese, complesso anche perché non c’è equivalenza con la certificazione bio europea e quindi richiede un iter certificazione specifico. Qui il biologico è ancora agli inizi, trainato soprattutto dagli expat che vivono lì. E questo vale soprattutto per prodotti come le confetture e le creme spalmabili, che sono molto lontane dalla cultura cinese”.
Elena Consonni