Cibo bio nelle mense pubbliche? L’Europa si spacca

mense pubbliche

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Come aiutare i cittadini a mangiare in maniera sana ed equilibrata e supportare al contempo l’agricoltura biologica? Una delle misure di cui si discute è quella di incentivare nelle mense pubbliche l’acquisto e l’utilizzo di prodotti bio (tema al centro della nostra attuale inchiesta, di cui è uscita la prima puntata la scorsa settimana e che proseguirà nelle prossime). Si tratterebbe di uno strumento che avrebbe un impatto economico importante per le aziende impegnate in coltivazioni prive di pesticidi nonché un modo per raggiungere determinati tipi di consumatori che più necessitano di cibi di qualità, come bambini e pazienti ospedalieri. Diverse città e istituzioni, in Europa e non solo, hanno già adottato politiche in questa direzione, favorendo l’adozione (totale o parziale) di prodotti bio. Bisogna capire se rendere obbligatoria questa misura sia la strada più giusta per raggiungere gli obiettivi che l’Unione europea si è prefissata: il 25% di produzione biologica entro il 2030.

Conversione delle mense

Una delle azioni su cui c’è stato più confronto è la possibilità di imporre un obbligo europeo per le istituzionali nazionali e locali di far convertire al biologico le mense pubbliche, come quelle presenti nelle scuole, negli ospedali e nelle amministrazioni pubbliche, come comuni o ministeri. “C’è un potenziale enorme da attivare attraverso il mercato pubblico, che potrebbe costituire cifre d’affari importanti per il biologico, ma bisogna parlare con tutti gli attori del mercato per orientarsi nella giusta direzione”, ha affermato la parlamentare austriaca Simone Schmiedtbauer del Partito popolare europeo (Ppe). Proprio l’Austria quest’anno ha fatto incetta di premi agli EU Organic Award e il Paese investe ampiamente nel settore, supportando aziende di piccole e medie dimensioni che grazie a investimenti su base cooperativa e comunitaria riescono a distinguersi nell’agguerrito mondo dell’agroalimentare.

Il tema del potere di acquisto dei consumatori

Non tutta l’Europa però vanta lo stesso grado di consapevolezza tra i consumatori e i produttori. “Possiamo permetterci i prezzi del bio? Se guardate i prezzi sui mercati, i prodotti bio sono spesso più cari e bisogna spiegare qual è l’interesse a spendere di più per questi prodotti“, ha dichiarato il segretario generale all’Agricoltura del governo spagnolo Fernando Miranda Sotillos, che ha ricordato come nel suo Paese sia difficile la conversione al bio per le aziende estensive, i cui prodotti sono destinati principalmente all’export. “Bisogna innanzitutto convincere. Obbligare non credo sia un buon approccio“, ha concluso Sotillos.

Il timore dell’imposizione dall’alto

Anche la danese Kirstine Bille del Comitato europeo delle Regioni ha nutrito dubbi sull’opportunità di introdurre un obbligo a livello europeo. “Nel mio Paese c’è una discussione in corso su questo punto: serve una legislazione europea o locale? Ci sono state manifestazioni in Danimarca dove le persone vogliono decidere loro e dicono ‘basta legislazioni europee’. Se una decisione viene presa dall’alto i cittadini hanno l’impressione di non avere conoscenze o potere sulla questione”, ha evidenziato Bille, in quota al partito dei Verdi europei. Scegliere una strategia in questo campo non riguarda solo le scelte agroalimentari, ma anche un approccio “democratico” alle decisioni che più da vicino riguardano la cittadinanza.

Una questione di coerenza politica

L’ipotesi è stata esclusa dal commissario all’Agricoltura Janusz Wojciechowski: “A livello delle scuole ci sono amministrazioni locali che possono spingere in questa direzione, ma non penso sia necessaria una regolamentazione europea a obbligare l’utilizzo di prodotti bio”, ha commentato il commissario.
Più critico nei confronti dell’UE e della Commissione europea, facendone una questione di “coerenza politica”, Peter Schmidt, presidente della sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, del Comitato economico e sociale europeo. “Se fissiamo un obiettivo (quello del 25% di produzione bio entro il 2030, ndr), bisogna avere un’obbligazione politica. È necessario che le aziende di trasformazione integrino una parte della produzione bio nel settore agroalimentare“, ha affermato Schmidt, già sindacalista del settore e in passato produttore di formaggi.

L’ambizione di una dieta sana

Su una linea meno rigida si è posizionato Jan Plagge, il presidente di Ifoam Organics, l’organizzazione ombrello che rappresenta il biologico in Europa. “Nelle mense tradizionali sono distribuiti cibi che piacciono, ma non sono sani, eppure sono apprezzati dai bambini”, ha ricordato Plagge. “È necessaria l’appropriazione da parte dei cittadini delle mense scolastiche, perché i genitori devono essere convinti di queste scelte“, ha sottolineato il rappresentante dei produttori biologici per il quale è prioritario un impegno non solo da parte dei produttori agricoli ma anche degli altri attori della catena, come le aziende alimentari.

È necessario un lavoro collettivo

Per precisare come perseguire in modo pratico determinati obiettivi è intervenuto Armindo Jacinto, sindaco del comune portoghese Idanha-a-Nova, che ha vinto il premio come miglior bio-distretto: “Nutrizionisti ed esperti in materia alimentare ci hanno aiutati a stabilire cosa proporre nelle nostre mense, non solo in termini di prodotti biologici ma in generale per avere un regime alimentare sano”, ha ricordato il primo cittadino. “Non bisogna obbligare, ma incitare a usare le migliori pratiche. L’UE e la Commissione europea devono valorizzare gli attori virtuosi, come ristoranti e alberghi che si sono convertiti al biologico, perché sono esempi eccellenti di misure virtuose già adottate a livello locale”, ha concluso Jacinto.

Fonte: Europa Today

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