La produzione biologica, per la Commissione europea, è complessivamente un sistema di gestione sostenibile all’interno del quale gli agricoltori e altri operatori del settore si impegnano a condurre le proprie aziende agricole e strutture sulla base dei principi generali del biologico, seguendo una serie di indicazioni che siano tendenzialmente rispettose della natura. Ecco, dunque, che trovare tecniche di produzione cellulare che siano in linea con i principi biologici potrebbe essere una sfida, in qualche modo.
L’UE, dal canto suo, ribadisce i criteri che stabiliscono quando una produzione è considerata biologica, a partire dal rispetto dei sistemi e dei cicli della natura e dal mantenimento e miglioramento dello stato del suolo, dell’acqua e dell’aria, della salute delle piante e degli animali e del loro equilibrio. Imprescindibile, poi, in ambito di produzione biologica, l’uso responsabile dell’energia e delle risorse naturali – acqua, suolo, materia organica e aria – così come la preservazione degli elementi naturali del paesaggio. La produzione biologica, per l’UE, deve inoltre mantenere la propria integrità nelle diverse fasi della produzione, preparazione e distribuzione di alimenti e mangimi. Deve essere sostenibile e, infine, escludere l’uso di OGM e prodotti ottenuti da OGM.
Secondo Rachel Mazac, ricercatrice del dipartimento di Scienze ambientali dell’Università di Helsinki ed esperta di sistemi alimentari sostenibili, è evidente che occorra associare alla produzione organica una serie di caratteristiche e pratiche al fine di poterla correttamente definire, e, in questo senso, l’agricoltura cellulare – che non è basata sul terreno e che quindi non ha a che fare con pratiche di coltivazione e metodologie che preservino i territori naturali – non può essere considerata “biologica”. Inoltre, sottolinea Mazac, “il discorso si fa ancora più complesso quando si prendono in considerazione le culture idroponiche”.
Quindi non è semplice restringere il campo e inquadrare nelle definizioni già esistenti queste nuove tipologie di produzione.
Il concetto che sta alla base della produzione biologica è quello di poggiarsi su sistemi di produzione rispettosi della “natura”, ecco perché, seguendo questa considerazione, la produzione idroponica è esplicitamente vietata dalle norme UE sul biologico: si tratta, infatti, di un metodo di coltivazione di piante che non crescono naturalmente in acqua con le loro radici, ma in una soluzione nutritiva, e ciò è vietato.
Secondo le regole del biologico disposte dalla UE, insomma, solo i prodotti alimentari che rispettano le regole generali sulla sicurezza alimentare possono essere certificati come biologici. Pertanto, un primo prerequisito per la certificazione della carne coltivata o dei prodotti alimentari derivanti da insetti è che siano già stati autorizzati come “novel food” (ovvero tutti quei prodotti e sostanze alimentari privi di storia di consumo “significativo” al 15 maggio 1997 in UE, e che, quindi, devono sottostare ad un’autorizzazione, per valutarne la loro sicurezza, prima della loro immissione in commercio). In altre parole solo la carne coltivata già autorizzata come novel food può essere presa in considerazione per un’eventuale certificazione come alimento biologico.
Ma, tuttavia, “la carne coltivata deriva dall’ingegneria dei tessuti e dei bioprocessi e include l’isolamento e la propagazione di cellule staminali, l’identificazione e la modifica di biomateriali adatti e la progettazione di sistemi di co-coltura con vari tipi di cellule, come le cellule muscolari e adipose”, fanno sapere dal dipartimento dell’Agricoltura della Commissione europea. Questi processi necessitano, ad oggi, di bioreattori industriali e di tecnologie che difficilmente sembrano in linea con i principi del biologico, secondo la UE. Ma la sfida resta aperta.
Chiara Affronte
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