Ci sono due grandi progetti che meritano una visione e una gestione comuni da parte del biologico italiano.
Sono i bio-distretti e la filiera bio. Chi non capisce i bio-distretti afferma che essi rappresentano una ‘ghettizzazione’ del biologico e una visione lontana dall’economia e dal mercato.
Chi non capisce l’importanza di mettere in piedi una filiera bio guarda al proprio orticello, al proprio mercato, al proprio business come all’orizzonte dentro il quale stare in piedi e possibilmente svilupparsi.
Sono entrambe visioni miopi ma largamente diffuse specie in questo tempo di crisi in cui il sentimento più diffuso è quello della conservazione. Sono visioni miopi perché non tengono conto della necessità di agganciare il biologico alla svolta green, quindi all’ambiente, seconda una nuova consapevolezza del settore e delle sue specificità (il bio-distretto per un biologico più garantito, più genuino, più vero) e della necessità quasi drammatica in certi casi concreti di agganciare la produzione, anche la più piccola, alle attività a valle, in particolare della trasformazione e della distribuzione.
Oggi in Italia abbiamo un biologico ‘sparpagliato’, poco organizzato sia in senso territoriale che di filiera. L’argomento meriterebbe un ampio dibattito, fuori dagli schemi, dalle alleanze, un dibattito allargato a tutti per gettare le premesse di un settore finalmente più organizzato e più forte. Su questo terreno sì che FederBio e AIAB dovrebbero avvicinarsi, avviare un confronto. Perché dobbiamo sempre essere l’Italia dei guelfi e dei ghibellini?
Antonio Felice