L’agricoltura rigenerativa può essere una evoluzione per il biologico? Si è parlato molto di questo tema anche a Biofach, dove alcuni espositori hanno presentato prodotti certificati secondo gli standard volontari che regolano questo approccio alla coltivazione.
Il tema è stato approfondito anche nel seminario “Organic and Regenerative: new frontiers for the future of sustainability” promosso dall’istituto di certificazione ICEA, a cui hanno partecipato referenti dell’organismo internazionale IFOAM e dell’ente di certificazione Regenerative Organic Alliance (ROA), che ha istituito uno standard, dedicato proprio all’agricoltura rigenerativa.
Pur non coincidendo, agricoltura biologica e rigenerativa hanno molti punti in comune: entrambi i sistemi mirano a migliorare la salute del suolo, ridurre l’eco-tossicità (per esempio vietando l’uso di pesticidi), aumentare la biodiversità e promuovere sistemi agricoli più resilienti. Per questo l’agricoltura biologica dovrebbe essere considerata come punto di partenza per arrivare a quella rigenerativa. Rispetto a quella biologica, però, quella l’agricoltura rigenerativa si poggia su una visione olistica, in cui gli aspetti ecologici, economici e sociali devono integrarsi. Inoltre ha un approccio specifico per il contesto locale, l’ecosistema e le condizioni economiche del luogo in cui viene praticata.
Pur con queste specificità, lo standard ROC “Regenerative Organic Certified” ha come base proprio la certificazione bio. “I tre pilastri della certificazione ROC – ha spiegato Paul Alvarez, di Regenerative Organic Alliance – sono la salute del suolo, il benessere animale e l’equità sociale. Nell’ambito della protezione del suolo rientrano pratiche come l’arricchimento della materia organica nel suolo, la valorizzazione della biodiversità, la rotazione colturale e l’uso di colture di copertura; nell’ambito del benessere animale è richiesto che l’allevamento e il trasporto dei capi siano eseguiti evitando che gli animali provino paura, stress, fame dolore…Infine l’agricoltura rigenerativa deve garantire un lavoro giusto: stipendi equi, contratti a lungo termine, buone condizioni di lavoro, crescita professionale”.
Istituita nel 2017, la certificazione ROC conta oggi 61.000 aziende certificate, per un totale di oltre 18 milioni di acri (circa 7 milioni di ettari). “Le vendite dei quasi 2.000 prodotti certificati ROC – ha spiegato Alvarez – stanno crescendo del 25% anno su anno”.
L’adozione di una certificazione è determinante nell’ambito dell’agricoltura rigenerativa perché, in assenza di una definizione legale univoca, il termine “rigenerativo” è potenzialmente più suscettibile al greenwashing, con aziende che potrebbero adottare solo alcune pratiche senza un approccio sistemico, a danno di quelle più virtuose.
Con quest’ottica ICEA ha inserito la certificazione ROC tra i servizi offerti. “L’agricoltura rigenerativa – ha spiegato Giuliano D’Antonio, consigliere delegato alle relazioni esterne ICEA (nella foto a destra) – si inserisce nel nostro percorso storico. È nuova energia per mantenere la coerenza al nostro progetto iniziale e riprendere in mano un percorso per valorizzare le tecniche agricole, puntando al valore del suolo. Oggi c’è il rischio che l’agricoltura biologica sia solo legata al rispetto del regolamento comunitario e che il nostro ruolo si limiti alla verifica del rispetto di una legge. L’agricoltura rigenerativa è una fonte di entusiasmo per il nostro lavoro di valorizzazione e di crescita del mondo agroalimentare, basato sui principi di reale sostenibilità. La sostenibilità si basa su tre principi: ambiente, economia, società e l’agricoltura rigenerativa fa dell’aspetto sociale un pilastro. Il valore sociale è strategico, e noi in quanto certificazione etica e ambientale non possiamo prescindere da esso”.
Elena Consonni