L’attenzione sulla frode alimentare del falso bio diminuisce, ma rimangono i problemi legati alla mancanza di controllo delle frontiere e alla larghezza delle maglie entro le quali si infilano i malfattori.
‘Non basta registrare all’interno di un programma informatico i prodotti provenienti da Paesi terzi per dichiararli sicuri. La burocrazia, seppur tecnologica, non può sopperire all’attuale mancanza di controllo alle frontiere’.
AIAB ritorna così sulla vicenda dello scandalo legato al falso bio importato, esploso la scorsa settimana. Se non si interviene seriamente sulla debolezza del sistema dell’equivalenza per i Paesi Ue ed extra UE, ovvero tra regolamento europeo e disciplinari riconosciuti – gestiti da chi dovrebbe applicare la norma – e non si vigila con serietà sulle importazioni (vero business del bio) il problema non si risolverà.
‘L’unica tracciabilità possibile e sicura è quella legata alla filiera corta italiana, basata sulla capacità agronomica dei tecnici e degli agricoltori – afferma Alessandro Triantafyllidis, presidente di AIAB -.
Un percorso che, a livello nazionale, è necessario attivare a partire dalle colture proteaginose, di cui l’Italia, come l’Europa, non è assolutamente autosufficiente. E’ su questo che AIAB basa la sua proposta per dare una soluzione seria e duratura agli scandali che, periodicamente, minano la credibilità del settore’.
‘Bisogna essere seri e dare valore alla conoscenza e al lavoro degli agricoltori – aggiunge Caterina Santori, vice-presidente di AIAB -.
Si investa sulla strutturazione di un piano per la produzione di proteine vegetali bio, come abbiamo proposto già da anni e rilanciato recentemente al Consiglio nazionale della Green economy e alla consultazione su innovazione in agricoltura, realizzata da Inea per conto Mipaaf.
Costruire una filiera proteica bio italiana è possibile e porterebbe un grande giovamento all’agricoltura italiana, sia in termini agronomici che economici. In tale piano la soia deve avere un posto di riguardo, visto che l’Italia è il Paese europeo con maggiore produzione e con le rese più alte al mondo (3,46 t/ha), seppure nell’ambito dell’agricoltura convenzionale.
Questo attesta come e quanto il nostro Paese, soprattutto le regioni del Nord-Est, siano vocate alla coltivazione della soia, requisito fondamentale per la produzione in biologico. E’ chiaro che finché si rincorrono i prezzi bassi si cadrà sempre nelle importazioni a bassa garanzia e non si consentirà la strutturazione del settore.
Di questo bisogna tener conto anche nella programmazione dei prossimi Piani di sviluppo rurale ed, in generale, nella necessaria reimpostazione delle politiche agricole nazionale e regionali’.