Il tema principale che si candida a fil rouge di questa nuova edizione di BIOFACH – in scena dal 14 al 17 febbraio presso il quartiere fieristico di Norimberga – è quello del Greenwashing.
In effetti è il main topic su cui si andrà a giocare la spietata concorrenza che si sta creando sul mercato con i prodotti convenzionali e soprattutto con la Private Label bio, a causa dell’aumento dei costi e della parallela riduzione della forbice di prezzo tra prodotti bio e non. Una questione che al momento, salvo interventi specifici (sia legislativi che di gestione del mercato), auspicati da più parti, diventa dirimente ancor di più, posto che il concetto di sostenibilità ed i claim ad esso collegati con cui spingere i prodotti green sul mercato rimane ancora piuttosto fumoso e, su scala europea, declinato su un ginepraio di micro-disposizioni locali, se non addirittura buone pratiche semplicemente volontarie.
Ne abbiamo parlato con Eva Pfeffer, direttrice marketing e vendite dell’azienda vicentina The Bridge Srl (nella foto di apertura), specializzata nella produzione di bevande vegetali bio, presente a Biofach con un assortimento allargato anche ad una linea del tutto innovativa, lanciata in fiera, di Biogurt 100% vegetali.
“In questa particolare congiuntura di mercato – ci dice Pfeffer – il mondo del bio sta soffrendo fortemente. L’anno scorso è stato il peggiore. Una sofferenza che si è registrata indistintamente su tutti i mercati verso i quali esportiamo, prevalentemente europei. Anche in Francia, che è la nostra piazza principale e che ha il culto del bio, c’è stato un crollo che noi abbiamo gestito con un colpo di fortuna perché sin dall’inizio ci siamo presentati con prezzi leggermente più bassi rispetto alla concorrenza. Notiamo comunque che la leva prezzo è un driver importante nelle scelte di acquisto dei consumatori, per cui se non si delinea una politica chiara e indiscutibile contro il greenwashing si rischia che presto, qualsiasi azienda che abbia installato dei pannelli fotovoltaici o ha fatto qualsiasi tipo di intervento green sulla propria attività possa spendere il claim ‘sostenibile’, dando vita ad una concorrenza che, nei fatti è sleale e che porta alla confusione del consumatore”.
Il puzzle si complica perché tra i nuovi grandi buyer del settore Organic ci sono adesso anche i discount che propongono a scaffale non solo i brand ma anche sempre più PL rendendo ancor più urgente una politica di scambi commerciali per il canale bio extra UE (ma anche intra UE, ammettiamolo) impostata su principi di reciprocità per quanto riguarda i Paesi terzi e di uniformità per quelli dell’Unione.
“Fino a pochi lustri fa – continua Pfeffer – i negozi specializzati nel bio erano l’unico referente di mercato per i consumatori più sensibili che cercavano questo tipo di referenze legate ad un movimento ben preciso foriero di valori di equità e giustizia economica, sociale e votata al benessere animale. Oggi la competizione distributiva si apre alle grandi catene, soprattutto di discount, che guidano al ribasso la leva prezzo, con la conseguenza che la distribuzione specializzata sta andando in crisi. Un rischio ancora più grande, per quei produttori che si aprono al mondo dei discount inseguendo la redditività data dai grandi volumi, è legato al fatto di riuscire a realizzarli in questo periodo di imprevedibilità climatica e di pochezza di strumenti a disposizione dei produttori”.
The Bridge lavora sui principali mercati europei e in Germania e Svizzera, sta iniziando a lavorare, per quanto riguarda le bevande vegetali bio, la cui domanda corre senza intoppi, anche per i marchi commerciali di alcune catene.
Grazie allo sviluppo di questa categoria di prodotto, l’azienda vicentina ha raddoppiato in cinque anni il proprio fatturato passando da 20 milioni di euro ai 41 milioni con cui ha chiuso il 2022. Ma così non è accaduto per altre piccole realtà di eccellenza come la Alpro, ad esempio, che è stata acquisita dalla multinazionale Danone, diventandone, di fatto, una sorta di asset green che può beneficiare delle grandi economie di scala del gruppo internazionale per ammortizzare l’alea e le incognite ancora del tutto irrisolte di questo comparto. Ancora irrisolte a meno di sette anni dal compimento della strategia europea Farm to Fork che sul bio ha puntato molto.
“In questa fase abbiamo deciso di ampliare la nostra offerta – precisa Pfeffer -, diversificando il nostro portfolio con i nuovi Biogurt 100% vegetali. Dopo trent’anni di specializzazione nella produzione e vendita di bevande, creme da cucina e dessert biologici, lanciamo la nuova linea di prodotti vegetali fermentati a base di cocco e di soia in vari gusti assortiti“.
Filiera controllata ed etichetta corta, sono le altre caratteristiche che contraddistinguono i Biogurt: le referenze al naturale sono prive di zuccheri aggiunti, mentre i gusti alla frutta sono dolcificati solo con succo di mela bio. L’impianto è dedicato esclusivamente alla produzione e al confezionamento di referenze plant based, qui non esiste contaminazione con prodotti contenenti latte vaccino/ovino o derivati, un’ulteriore garanzia per la completa sicurezza del consumatore. Sono disponibili nella variante a base di cocco (al naturale, al mirtillo e al limone), presso gli store specializzati in Italia e in altri Paesi europei come il Portogallo e l’Ungheria nel formato da 125 grammi e prossimamente anche in quello da 400 grammi. Da marzo, invece arriveranno quelli con base di soia (al naturale, al mirtillo a alla pesca).
“Abbiamo deciso di investire molto in Ricerca e Sviluppo – spiega Paolo Negro Marcigaglia, responsabile R&D di The Bridge – e nel creare un impianto dedicato alla loro produzione. Frutto di più di tre anni di ricerca interna all’azienda, i Biogurt costituiscono il fiore all’occhiello. Anche se non possiamo chiamarlo yogurt il procedimento è esattamente lo stesso: riusciamo a preservare tutti i vantaggi dei cibi fermentati e non pastorizzati a differenza della maggior parte dei prodotti presenti sul mercato. Il nostro è un prodotto vivo e salutare; vanta inoltre una shelf life molto lunga: ben 70 giorni, grazie a una linea di confezionamento con standard igienici molto elevati che garantisce una conservazione prolungata senza l’ausilio di conservanti. Credo che fra qualche anno questa sarà la tendenza”.
Mariangela Latella
maralate@gmail.com