Rete “Italia in Bio”: i retailer specializzati contro la massificazione del bio

Parisi

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Al via l’aggregazione distributiva anche tra i negozi specializzati nella vendita di prodotti bio. È stata, infatti, appena costituita (nei giorni scorsi) la prima rete di imprese di dettaglianti specializzati nella commercializzazione di prodotti biologici. Si chiama Rete Italia in Bio e parte con circa 12 negozi associati, sparsi tra Calabria, Sicilia, Puglia, Veneto e Lombardia.

Con base a Vittorio Veneto e importanti prospettive di crescita entro l’anno, Rete Italia in Bio rappresenta una risposta concreta alla massificazione dei prodotti certificati sugli scaffali della GDO, e soprattutto dei discount, che rischiano di affossare il canale specializzato.

Ne abbiamo parlato con Fabio Parisi, presidente della neonata rete di bio-retailer, ‘Italia in Bio’, nonché della società NOI srl che nel marzo scorso ha operato la fusione per incorporazione di due cooperative attive nella distribuzione di prodotti Biologici: la veneta ‘La buona Terra’ di proprietà di NOI Srl (dove NOI è l’acronimo di Natural Organic Italian), che ha due punti vendita nel veronese, e la cooperativa mantovana ‘L’albero’ con altri due punti vendita. Dalla fusione è nata un’insegna che ha prospettive di ulteriori sviluppi nel medio periodo, lungo tutta la Penisola.

Nei primi cinque mesi di quest’anno, i negozi specializzati del bio, che movimentano poco meno di un terzo del giro d’affari dei prodotti certificati in Italia (il 27%, stima prudenziale di Parisi), registrano una perdita di fatturato che oscilla tra il 12 e il 15% (stima prudenziale).

“I nostri quattro negozi sono in linea con l’andamento nazionale – specifica Parisi -. Creare aggregazione distributiva, che nel nostro settore manca, è l’unica soluzione che permetta di creare delle economie di scala per affrontare le sfide del mercato odierno. In questo modo si possono affermare i valori fondanti del movimento del bio, nato circa quarant’anni fa dalla passione autentica di chi ha creduto in questo modo di produrre come espressione, non solo del rispetto dell’ambiente ma anche, e fra l’altro, della cura dell’essere umano, inteso  come consumatore, come lavoratore, produttore e persino distributore. In questo senso, un negozio specializzato di bio è un’azienda sociale, un bene sociale che persegue obiettivi diversi, per definizione, da quelli della Grande distribuzione che ha come primario obiettivo quello della massimizzazione degli utili. Con la logica della guerra dei prezzi, che ha dominato le politiche della GDO fino ai nostri giorni, e la spinta all’espansione del reparto bio, data dagli obiettivi della strategia europea Farm to Fork, questo settore oggi rischia di essere dequalificato, ossia di perdere per strada le sue proprie caratteristiche originarie”.

La Rete di Imprese ‘Italia in Bio’ punta a creare delle economie di scala che permettano ai negozi specializzati di competere con le logiche dei big retailer, tra cui i discount, i cui reparti bio sono in continua crescita a prezzi assolutamente fuori mercato, e in decisamente lontani dalla filosofia che anima chi produce e vive di bio.

“Per argomentare il concetto di massificazione del bio – precisa Parisi – basti pensare che se il biologico venduto in GDO occupasse il 5% del fatturato complessivo di tutti i retailer complessivamente intesi, arriverebbe, da solo, ad assorbire il 60-65% della produzione italiana. Si tratta di un’operazione che non regge sui volumi prodotti nel Bel Paese se si considerano tutti i canali di vendita. E non regge neanche dal punto di vista dei valori che stanno alla base del modello distributivo della GDO che, a differenza della definizione stessa del prodotto bio, tende a superare il concetto di stagionalità dei prodotti, lavora su grandi volumi e con prezzi insostenibili per i produttori di bio. Il rischio in questo modo è che si perdano per strada, tra marketing e massificazione dei prodotti, i valori che sono alla base del movimento biologico italiano”.

Oltre all’aggregazione dei negozi specializzati attraverso la Rete ‘Italia in Bio’, Parisi, che viene da 40 anni di esperienza nel settore bancario, sta mettendo in pratica, nei quattro store di NOI Srl, un nuovo modello di business del settore organico, sdoganando un tabù di fondo, ossia il possibile accostamento tra negozi specializzati di Bio e GAS, i Gruppi di Acquisto Solidali che i negozi riforniscono applicando sconti in virtù dei maggiori volumi richiesti. “Nel nostro settore – argomenta Parisi – sono considerati due canali antagonisti ma NOI Srl ci lavora abitualmente, arrivando a generare una, sia pur piccola, percentuale del fatturato. Ad oggi è inferiore al 5%”.

Un modello distributivo specializzato che includa anche i GAS (che affida quindi un ruolo primario nella distribuzione di bio al consumatore), oltre alla strada intrapresa di creare economie di scala con la rete di imprese e la ricerca di una rappresentatività politica sempre grazie alla creazione di massa critica, sono le risposte concrete dei bio-store italiani all’inconciliabile coesistenza tra le leggi del marketing e l’effettiva conoscenza da parte del consumatore di ciò che consuma e dei produttori che lo producono.

“Il paradosso alla base del nuovo scenario del mercato del biologico – ci dice Parisi – sviluppatosi negli ultimi sei/sette anni, con l’ingresso della GDO, deriva dal fatto che le certificazioni oggi sono affidate a enti terzi e privati e che non esistono codici merceologici per questo tipo di prodotti. Men che meno esistono certificazioni che rispondano a regole univoche sul mercato globale o anche solo su quello europeo. Il distributore che ha bisogno di acquistare grandi volumi di prodotto bio può tranquillamente approvvigionarsi anche all’estero, comprando prodotto certificato con le regole del Paese che vende. Se questo prodotto ha il bollino verde della certificazione, la società acquirente italiana è in regola. Stanti così le cose, tutto può girare sul mercato”.

Negli ultimi anni, in Italia, che pure è tra i primi produttori di Bio al mondo ed ha un mercato che vale più di 4,5 miliardi di euro (fonte Nomisma), sono in aumento le importazioni di prodotti organici dai Paesi terzi. 

Mariangela Latella

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