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Quando il legislatore fa plop!
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Fabrizio Piva*
Fin dalla pubblicazione della prima proposta della riforma comunitaria del settore biologico, ormai quasi 4 anni orsono, le organizzazioni di settore, in particolare quelle comunitarie, si sono chieste se e chi avesse chiesto tale riforma. Una domanda non certo banale quando proviene da chi dovrebbe avere la responsabilità di chiedere e contribuire alla definizione delle leggi di settore, ovvero il sistema produttivo. A questa domanda, purtroppo, la risposta è stata la Commissione UE.
Se la domanda può apparire banale, non lo è certo la risposta poiché implica un approccio dirigistico che non fa bene ai settori produttivi che ne sono destinatari ma ancor meno alla ‘democrazia’ di un’area così importante come l’UE e anche a quella del nostro Paese perché vi sono esempi anche a livello nazionale.
Che la nuova riforma di settore fosse superflua ne abbiamo avuto la prova avendo questo regolamento battuto qualsiasi record di discussione nell’ambito del ‘trilogo’ (Commissione, Parlamento e Consiglio): dopo quasi 4 anni dalla prima proposta, solo lo scorso 20 novembre è stato approvato in CSA (Comitato Speciale Agricoltura), ove era necessario che un solo Paese avesse votato contro e non avrebbe raggiunto la maggioranza qualificata; per la cronaca l’Italia ha votato a favore, e il 23 la Commissione Agricoltura del Parlamento UE l’ha approvato con 29 voti a favore, 11 contrari e 4 astenuti. Ora spetta al Parlamento in seduta plenaria, probabilmente in marzo o aprile 2018, quando il testo sarà tradotto in tutte le lingue. Un testo che anche in Italia non ha raccolto molti consensi fra le organizzazioni imprenditoriali, un testo che a partire da inizio 2018 vedrà la Commissione UE impegnata nella preparazione di 24 atti di implementazione e 29 atti delegati secondo una ‘road map’ che dovrebbe concludersi a giugno 2020 in previsione che il 01.01.2021 dovrebbe entrare in applicazione mandando in soffitta l’attuale Reg CE 834/2007. Ben 8 anni dopo la pubblicazione della prima proposta forse avremo un nuovo regolamento che il settore non ha mai chiesto.
Nei contenuti non è molto diverso il caso del D. Lgs sui controlli del biologico, in questi giorni all’attenzione delle Commissioni Agricoltura, Politiche Comunitarie e Giustizia di Camera e Senato. Un D. Lgs che è stato oggetto di un’intesa in ambito Conferenza Stato Regioni che il settore si augura, come estrema ratio, venga presa in considerazione dal Parlamento. In più occasioni abbiamo scritto che questo D. Lgs costituisce una risposta emozionale e sbagliata ad un tema vero di miglioramento di un sistema di certificazione (e non di controllo!) che in Italia è molto più efficiente rispetto ad altri Paesi UE e che non può essere interpretata da trasmissioni televisive di ‘pseudo inchiestaì. Un D. Lgs che, anche nella versione emendata dalle Regioni, costituirà un vulnus alla competitività e quindi allo sviluppo di un settore biologico che si deve confrontare quotidianamente in ambito internazionale e che, già oggi, non soffre di inferiorità rispetto a nessun altro sistema produttivo e di garanzia.
In questo caso un Decreto che non è mai stato oggetto di confronto con il sistema produttivo e con coloro che svolgono il servizio di certificazione così come neppure con le Regioni che rivestono una funzione importante a favore del settore. Un disposto normativo di cui certo, il settore e non tanto gli organismi di certificazione, non ne avrebbe lamentato la mancanza!
*amministratore delegato CCPB
(fonte: newsletter CCPB)
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