Tutti assolti “perché il fatto non sussiste”. Si è chiusa con questa sentenza di primo grado la vicenda denunciata dalla trasmissione televisiva “Report” e che aveva portato a processo cinque noti produttori risicoli del vercellese con l’accusa di frode o di tentata frode per aver coltivato commercializzato falso riso biologico.
In sostanza, secondo la procura della Repubblica di Vercelli i cinque imputati producevano riso usando prodotti fitosanitari (pesticidi) non contemplati dai regolamenti CE che regolano la produzione del biologico e, in ogni caso non provvedevano, sempre secondo l’accusa, a separare il riso convenzionale dal biologico usando gli accorgimenti che sarebbero stati necessari, in fase di produzione, di raccolta e di trasporto all’industria che doveva lavorarlo. Secondo il capo di imputazione, dunque, spacciavano risone convenzionale per biologico, distribuendolo come tale alla trasformazione e al consumatore.
Tutto era nato da una puntata della trasmissione di Rai Tre “Report” di qualche anno fa. Dopo cinque anni, tra inchiesta e fine del dibattimento, la vicenda si è conclusa con l’assoluzione di tutte le realtà coinvolte.
Secondo la procura della Repubblica di Vercelli gli imputati producevano riso usando prodotti fitosanitari (pesticidi) non contemplati dai regolamenti CE che regolano la produzione del biologico e, in ogni caso non provvedevano, sempre secondo l’accusa, a separare il riso convenzionale dal biologico usando gli accorgimenti che sarebbero stati necessari, in fase di produzione, di raccolta e di trasporto all’industria che doveva lavorarlo. Secondo il capo di imputazione, dunque, spacciavano risone convenzionale per biologico, distribuendolo come tale alla trasformazione e al consumatore.
Gli enti certificatori chiamati a deporre hanno tuttavia dichiarato che tutto il risone commercializzato era risultato tutto biologico e le tracce di pesticidi rilevate nella terra e nell’acqua delle risaie incriminate potevano derivare da aziende vicine che non coltivavano biologico.
Alla fine, questa tesi ha prevalso nel giudizio del giudice monocratico Cristina Barillari.