‘Dalla coltivazione al chicco’ è il titolo dell’evento dedicato ai nuovi risi biologici Alce Nero e alle etichette Narranti di Slow Food che si è recentemente svolto nella cornice di Cascina Cuccagna a Milano, una cascina agricola del ‘700 sapientemente recuperata. Al centro dell’incontro le cinque varietà di risi selezionate da Alce Nero, tutte a stelo lungo e con apparato radicale profondo: Arborio, Baldo, Integrale, Nerone e Rosa Marchetti coltivate in maniera biologica nelle zone vocate del Piemonte e della Lombardia.
Lucio Cavazzoni, presidente Alce Nero & Mielizia SpA, ha aperto i lavori sottolineando l’importanza del progetto delle etichette narranti per i risi biologici.
‘Il riso è il prodotto biologico più difficile che c’è, poiché si sviluppa nell’acqua. Le etichette narranti proprio su questo prodotto sono davvero un fatto importante: danno il senso e l’identità del prodotto, raccontando nel dettaglio il percorso del cibo vero.
Ciò che conta è sapere veramente chi ha fatto e come lo ha fatto, dove e quando è stato realizzato ogni alimento che mangiamo. Siamo particolarmente soddisfatti di presentare le etichette narranti con i nuovi di risi bio perché, come è noto, la coltura biologica del riso è fra le più impegnative e richiede tanto lavoro, spesso manuale.
E queste etichette lo raccontano e danno valore agli agricoltori impegnati. Ritengo fondamentale, inoltre, informare il fruitore su quello che mangia perché siamo oggi nella terza fase del biologico, quella che definirei del conflitto con l’agricoltura convenzionale. Il biologico si sta diffondendo in tutto il mondo e progressivamente dimostra che è l’altra agricoltura, quella non sostenibile, per la salute e per l’ambiente, a doversene finire in una nicchia’.
Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, ha raccontato la genesi delle etichette narranti. ‘La considerazione da cui siamo partiti è che oggi la qualità non ha più un significato specifico, si applica a qualsiasi cosa, quindi è diventata una parola praticamente astratta. Pesticidi, fertilizzanti conservanti non si percepisco al gusto, un prodotto buonissimo ne può contenere in quantità. Quindi ci siamo posti il quesito di come superare questo impasse.
Per arrivare alla verità del prodotto si può contrapporre il racconto dettagliato di come è stato fatto. Per noi di Slow Food il metodo più efficace è allegare un percorso che spieghi la qualità dell’intero sistema produttivo, analizzando nel dettaglio tutti i passaggi, ad esempio come si moltiplicano le sementi, come si mantiene il terreno, le rotazioni’.
Rosalia Caimo, risicoltrice biologica e biodinamica, ha riportato la sua esperienza diretta sui campi dove coltiva in particolare il riso Rosa Marchetti. ‘Ho scelto il biologico perché l’agricoltura convenzionale non affronta la motivazione di un problema ma cerca solo una soluzione, il contrario di ciò che accade in natura dove c’è una biodiversità molto forte.
Quando si va contro natura si fanno forzature, invece la terra è intelligente e sa regolarsi da sola. Il primo segreto è quindi forzarla il meno possibile. Senza rotazioni il suolo ha la stessa caratterizzazione che genera poi controreazioni, inoltre nel passato c’è stato un abuso della chimica cosa che rende oggi più difficile la coltivazione naturale. Nel riso bio ci sono due tecniche: tradizionale in acqua e “in asciutto”, qui l’acqua viene aggiunta quando la pianta del riso è già nata, le infestanti si controllano con la sarchiatura mentre le malattie fungine con diverse tecniche naturali’.
Marco Rusconi, tecnico agronomo specializzato nelle filiere cerealicole, ha analizzato la diversità tra un’etichetta narrante biologica e un’ipotetica etichetta di un riso convenzionale. ‘È importante trasmettere la qualità attraverso la trasparenza, descrivere quello che si fa nel dettaglio. In un’ipotetica etichetta convenzionale sparirebbero tante informazioni utili, come la descrizione della varietà, l’identità dell’agricoltore e l’origine.
Nel biologico abbiamo sementi certificate e produzioni artigianali, l’agricoltura convenzionale è di tipo industriale, qui il coltivatore è un operaio gestito da poche grandi aziende da cui riceve il seme della pianta e la chimica per coltivarla, utilizza il terreno come un mero supporto. Manca il rapporto uomo e natura. Ricordo che l’Italia è il primo produttore europeo di riso e serve più consapevolezza di quello che c’è dietro quando si compra un pacchetto di riso, come ad esempio cosa si utilizza per coltivarlo. Purtroppo la terra continua a sopportare avvelenamenti indiscriminati che andrebbero invece descritti sulla confezione’.
Ha concluso i lavori Domenico Tiso, presidente ASAS – Associazione per la Salute correlata all’Alimentazione e agli Stili di vita, che ha fatto alcune riflessione sulla salute. ‘Oggi la salute è un argomento virtuale, come lo è il concetto di prevenzione. Abbiamo due tipi di età: anagrafica e biologica, ovvero l’età vera data dalla salute dell’organismo. Se curiamo bene lo stile di vita partendo dall’alimentazione si potrebbero dimostrare facilmente 15 anni in meno. Teoricamente si potrebbe vivere 120 anni, ma non succede perché mangiamo male e abbiamo stili di vita sbagliati.
L’alimentazione ha un ruolo importantissimo sulla quantità e qualità di vita. Basterebbe investire poco nello stile di vita e nell’ambiente per guadagnare tanto in riduzione della mortalità, invece si spende molto per curare le malattie. Oggi siamo malnutriti ma obesi. Serve maggior consapevolezza su quello che mangiamo, come troviamo ad esempio nelle etichette narranti. Non sono importanti solo le calorie, ma anche i nutrienti, preferire al cibo raffinato quello pulito che nasce da un’agricoltura che rispetta la terra e aiuta la salute e l’ambiente’.
L’incontro è poi proseguito con uno show cooking con ricette a base delle diverse tipologie di riso a cura di Matteo Aloe chef e patron di ‘Alce Nero-Berberè’, Nicola Cavallaro chef di ‘Un Posto’ a Milano e il celebre chef televisivo Riccardo Facchini di ‘Podere San Giuliano’.