C’è chi li definisce antiparassitari, chi li indica come pesticidi – attingendo dall’inglese pesticides dove pest sta per animale o insetto dannoso e cides per uccisori – chi ancora usa chiamarli prodotti fitofarmaci seguendo il consiglio della legge, che accresce la confusione lessicale e concettuale perché con lo stesso termine sono denominate anche le sostanze vegetali utilizzate per curare alcune malattie dell’uomo e degli animali, e chi invece adotta l’espressione tranquillizzante dell’industria chimica: agrofarmaci, cioè farmaci che curano la terra. In ogni caso, il rischio è che finiscano sulle nostre tavole.
Il tema è ampiamente trattato nel numero Invernale di Valore Alimentare magazine.
Matteo Giannattasio, medico, agronomo e direttore scientifico della rivista, fa un excursus dell’origine dell’uso dei pesticidi in agricoltura e il loro incremento, chiarendo i motivi della loro adozione e stimolando alcuni accorgimenti per non ingerirli con gli alimenti.
Secondo i dati Istat, l’uso dei pesticidi dagli anni ‘50 ad oggi è aumentato di oltre venti volte e in particolare in Italia se ne impiegano circa 150 mila tonnellate all’anno. Anche se le autorità ci rassicurano dicendo che il cibo che mangiamo è sicuro perché non racchiude pesticidi o perché se li contiene la loro quantità è inferiore ai limiti di sicurezza fissati dalla legge, è giustificato chiedersi se sia sicuro il cibo che portiamo in tavola.
‘Bastano due considerazioni per rispondere di no – spiega Giannattasio – e la prima è che i regolamenti sulla sicurezza ambientale non tengono conto che i residui di un pesticida ingerito frequentemente col cibo si accumulino nel nostro organismo, con effetto tossico a lungo termine sia nei bambini che in coloro che soffrono di patologie a carico di reni e fegato. La seconda è che non si considera il rischio che nello stesso alimento possano essere presenti residui di pesticidi diversi, anche se nel limite di sicurezza fissato, risultando nocivi per la somma dei loro effetti’.
Per calcolare la nocività dei pesticidi si valutano, oltre i risultati tossicologici sulle cavie, anche le ricerche sulla popolazione. Si studia infatti la categoria degli agricoltori e coloro che vivono nelle loro vicinanze ma anche le popolazioni urbane, considerando che i pesticidi possono trovarsi nel cibo, nell’aria e nei prodotti domestici. Studi recenti hanno rivelato che obesità e diabete, disturbi della mente e del sistema nervoso quali morbo di Parkinson e iperattività nei bambini, diminuzione della fertilità maschile e insorgenza di alcuni tumori e patologie tiroidee, sono alcune tra le malattie che insorgono per colpa dei pesticidi.
Per evitare quindi il più possibile l’esposizione degli alimenti a queste sostanze, Giannattasio suggerisce di consumare cibo biologico o biodinamico certificato, consiglio avvalorato anche da una ricerca dell’università di Berkeley. Inoltre meglio preferire i prodotti di stagione provenienti da orti biologici o biodinamici, tralasciando frutta e verdura dei venditori ambulanti. “Rivolgo questa raccomandazione soprattutto alle mamme in attesa o che allattano al seno il loro bambino, in quanto le scorie dei pesticidi passano al feto attraverso la placenta e al lattante con il latte materno. Insomma, ormai le prove scientifiche della nocività dei pesticidi ci sono, quella che manca è la volontà politica di risolvere la questione’ conclude Matteo Giannattasio.
L’inappetenza dei più piccoli è invece il tema dell’articolo del medico Sergio Maria Francardo, che in questo numero di Valore Alimentare approfondisce le cause e le strategie per affrontarle.
Nella rubrica ‘A misura di bambino’, ci spiega infatti come il problema dell’inappetenza e della sua accettazione nei nostri figli, sia da ricondurre al rapporto col cibo che si instaura dalla nascita. Francardo precisa la questione delle angosce delle madri dei prematuri, per cui risultano psicologicamente e fisicamente in condizioni più critiche rispetto alle madri dei nati a termine più piccoli della media. I nove mesi della gravidanza sono essenziali per formare lo scambio tra madre e figlio e per mettere le basi de futuro rapporto con il cibo del bambino. ‘Essere una buona o cattiva forchetta – spiega Francardo – dipende da alcune sostanze attive nel sistema nervoso, i ‘neuroregolatori’, determinando l’inappetenza per ragioni ereditarie. In questo caso la mancanza di appetito non disturba e non rallenta la crescita e il bambino si limita a mangiare ciò di cui il suo corpo ha bisogno, mantenendosi comunque sano e robusto’.
Accanto a questa figura infantile, vi è però quella del bambino che mangia insufficientemente e che va incoraggiato senza ansietà e senza far diventare il cibo un metro di valutazione della bravura e dell’ubbidienza del piccolo. ‘Alcune inappetenze sono momentanee risposte a cambiamenti, all’arrivo di una malattia o ad un cambio di stagione – ricorda Francardo – e si possono contrastare ricorrendo a terapie antroposofiche e omeopatiche oppure rendendo gli alimenti più nutrienti. Utile è l’uso di semi oleaginosi che contengono grassi e proteine preziose, quali nocciole, mandorle, noci o il sesamo. I pinoli ad esempio si possono aggiungere a cereali e verdure mentre l’uva sultanina bio è un buon abbinamento allo yogurth e alla frutta cotta della sera’.
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