I consumi di prodotti biologici sono cresciuti dell’11% durante il lockdown, con una forte accelerazione nel periodo compreso fra il 9 marzo e Pasqua (+20%, trascinato prevalentemente dal Nord Italia). Anche il numero di operatori nei primi cinque mesi del 2020 aumenta, seppure manifestando una sostanziale stabilità su base tendenziale (+0,15%), probabilmente per le difficoltà legate al Covid-19.
Sono questi i dati emersi durante il webinar di B/Open, la rassegna del Bio foods & Natural self-care in programma a Verona il 23 e il 24 novembre 2020. A partecipare all’incontro, il Ministero delle Politiche agricole, Assocertbio e varie associazioni di categoria.
Secondo il bilancio dell’Osservatorio di Assocertbio, inoltre, il numero di operatori certificati, che tiene in considerazione produttori, preparatori e importatori, si mantiene stabile (con una percentuale di crescita che oscilla da +1,34% a +1,5%) arrivando a 80.105 unità, contro i 79.046 del 2018.
Per quanto riguarda le superfici bio, i primi 5 mesi del 2020 evidenziano una sostanziale tenuta della Sau (Superficie agricola utilizzata) con circa 10.000 ettari certificati in più (+0,57%), che potrebbero essere confermati anche nelle proiezioni di fine anno. Dall’indagine emerge anche l’identikit delle imprese agricole bio, confermate nei primi mesi del 2020: il 45% ha una superficie inferiore ai 15 ettari, il 25% si estende tra 15 e 50 ettari e il 30% occupa una Sau superiore ai 50 ettari. Calabria, Sicilia e Puglia si confermano anche nei primi mesi del 2020 le Regioni dove è presente il maggior numero di operatori biologici.
Nel corso del webinar, Riccardo Meo di Ismea e Roberta Callieris del Mediterranean Agronomic Institute of Bari hanno presentato il focus sulla filiera olivicola biologica italiana, che vede l’Italia al secondo posto fra le superfici bio al mondo con 235.741 ettari (26,70% della superficie mondiale a olivo bio), alle spalle della Tunisia (254.411 ettari) e davanti a Spagna (195.114) e Turchia (81.586).
Il quadro descritto disegna un comparto forte di una crescita del 200% registrata nell’ultimo decennio, con un ampio seguito tra i giovani under 34 e con buone prospettive di sviluppo legate all’affermazione del bio nell’online e al rifiorire dei negozi di prossimità, dove il consumatore può facilmente trovare un ‘venditore-consulente’. Una filiera che può trovare ottime possibilità dal proliferare di certificazioni complementari, dall’aggregazione in OP e dall’affermarsi di politiche post 2020 concentrate sui temi della sostenibilità ambientale e salubrità del prodotto. Punti di forza e opportunità che devono tuttavia tenere conto della tendenza ad acquistare l’olio sulla base del prezzo da parte dei consumatori, degli scarsi investimenti nell’olivicoltura, dell’insufficiente divulgazione verso i consumatori delle certificazioni di qualità e di una certa quantità di produzione biologica che esce dal processo di certificazione. Non solo, secondo l’esperto di Ismea Meo, il ridursi del potere di acquisto famiglie italiane, il ruolo della GDO, la presenza di prodotto extranazionale e la contrazione dell’export, così come la crisi dell’Horeca, la questione ‘Xylella e biologico’ e lo scarso ammontare delle risorse pubbliche sono tutte minacce da non sottovalutare e con le quali la filiera dovrà fare i conti pena la sua stessa sopravvivenza. (cb)