C’è extravergine ed extravergine. Con differenze sostanziali. Ma, dopo gli ultimi 20 anni dove ricerca, competenze agronomiche e tecnologia hanno fatto passi da gigante, l’olio di qualità rappresenta un granello di sabbia nel mare magnum della produzione oleicola e non arriva al 5%.
Per questo chi lo fa ha cominciato a rivendicare il diritto di distinguere il proprio prodotto artigianale da quello industriale. Sull’etichetta e sugli scaffali.
All’inizio erano 15, si sono costituiti in associazione poco più di due anni fa. L’anno scorso hanno lanciato la campagna di tesseramento. Oggi FIOI, la Federazione Italiana Olivicoltori Indipendenti, vanta già un centinaio di iscritti destinati a crescere in nome dei valori di quella piccola percentuale che si caratterizza con prodotti di eccellenza.
Si sono trovati a Bologna, al Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti (FIVI) che si è svolto alla Fiera del capoluogo emiliano dal 25 al 27 novembre. Trenta i produttori a rappresentare un vero e proprio movimento nato dal basso con uno scopo ben preciso: custodire, riscoprire e valorizzare le cultivar autoctone italiane e la loro identità territoriale. Tanti i visitatori agli stand dei vignaioli che si sono incuriositi ed hanno voluto assaggiare gli oli. Fino a partecipare alla degustazione dell’ultimo giorno condotta dallo chef dell’olio Andrea Perini che ha proposto anche alcuni abbinamenti col cibo.
Patrimonio unico al mondo
“Siamo un Paese, unico al mondo a poter vantare oltre 500 varietà da cui possono nascere, se si lavora in un certo modo, oli ineguagliabili in fatto di qualità – afferma Pietro Intini, presidente dell’associazione – con profumi e sapori strettamente collegati al territorio da cui provengono. Ma la stragrande maggioranza del Made in Italy è mediocre, girano oli difettati. Per questo nasce FIOI, per dare corpo a quel potenziale per la crescita qualitativa della produzione nazionale”.
La “mamma” di questo ambizioso progetto è Caterina Mazzocolin che di FIOI è il segretario generale. “Conoscevo già i Vignaioli Indipendenti e, quando nella fattoria di famiglia dove si produce vino è stato fatto un grosso investimento per fare olio di qualità è lì che mi è venuto il pallino dell’extravergine. Quando poi ho cominciato a lavorare come consulente di comunicazione e marketing dei produttori di olio, ho capito che c’era bisogno di fare qualcosa di aggregativo che potesse farli sentire uniti e mi sono ispirata all’esperienza dei vignaioli indipendenti. Ho chiamato alcuni amici per creare questo gruppo. Il lavoro più difficile è stato elaborare lo statuto che tenesse fuori gli industriali, gli imbottigliatori, i furbi. Ci son voluti due anni per avere gli strumenti necessari ad arginare i pericoli e preservarci”.
“Paletti” per garantire la qualità
L’ingresso in FIOI, infatti, non è scontato. È fondamentale che chi è interessato parta dalla materia prima, l’oliva, che lavori la sua o, in caso di annate difficili, prenda preferibilmente quella di altri soci (ci si aiuta a vicenda) o da regioni limitrofe per mantenere la territorialità. Ma la garanzia per il consumatore, dalla quale non si può prescindere, è la materia prima italiana. Il produttore ci mette la faccia, si impegna a controllare tutta la filiera, quindi è primo garante del proprio extravergine.
Della Federazione fanno parte olivicoltori, produttori, frantoiani, piccole cooperative virtuose (che non producono per vendere agli imbottigliatori e all’industria). Si entra presentati da almeno due soci.
“Se c’è un olivicoltore interessato che non ha i requisiti – afferma Intini – noi lo aiutiamo a raggiungerli, lo accompagniamo in un percorso per riuscire a produrre un extravergine di qualità tale che gli consenta di far parte di FIOI”.
Ma non è finita, perché per poter apporre il marchio FIOI sulla bottiglia, le maglie sono ancora più strette. Non solo occorre rispondere a certi criteri richiesti su produzione, conduzione agronomica e trasformazione, ma anche tenere una linea comune per presentarsi sul mercato. Ad esempio, non è contemplato l’olio non filtrato (di solito presentato in modo ingannevole come sinonimo di qualità) o in bottiglia di vetro trasparente, essendo la luce tra i peggiori nemici per una buona conservazione dell’extravergine.
La maggioranza è bio
Gli ettari totali gestiti da aziende iscritte sono oltre 1.600. La filosofia di FIOI va di pari passo con le esigenze sempre crescenti di applicare criteri di agricoltura sostenibile. E, probabilmente, non è un caso che, degli attuali iscritti, oltre la metà possa vantare la certificazione biologica e altri ancora siano in conversione. In totale circa i due terzi.
“Non potevamo aprire solo ai produttori bio – spiega Intini – anche perché per ora siamo un goccia nel mare. Ma i dati confermano che i nostri produttori sono rispettosi dell’ambiente e anche quelli che non sono certificati cercano di servirsi sempre meno di prodotti di sintesi mettendo in pratica accorgimenti che possono ridurre sensibilmente il loro utilizzo. Ad esempio, si può partire da una giusta potatura per arieggiare un uliveto, anziché ricorrere a trattamenti per combattere le malattie fungine. Anche questo rientra in un’agricoltura sostenibile”.
Una questione di rappresentanza
Perché un olivicoltore dovrebbe sentirsi più tutelato da FIOI piuttosto che da un’altra associazione di categoria? “Da 20 anni siamo impegnati, anche rischiando con grossi investimenti, per fare olio di qualità caratterizzati da aromi e profumi. Non siamo riusciti, però, a trovare una chiave di svolta. Abbiamo bisogno di rappresentanza, ma non ci sentiamo rappresentati da chi tiene insieme chi fa olio come noi, il 3-4%, e il 95% che offre un prodotto così diverso dal nostro. È normale che gli interessi siano diversi. Noi facciamo oli nutraceutici, che fanno bene alla salute, ci piace produrre in questa maniera. Inoltre stiamo attenti ad affrontare aspetti che, se non gestiti con criterio, ci fanno correre grossi rischi: il miglioramento genetico va bene tenendo conto dei cambiamenti climatici, ma attenzione a non snaturare la biodiversità a favore dell’omologazione in nome della soluzione del problema Xylella”.
Daniela Utili