NGT e biologico: davvero vogliamo farne una questione di fede?

Piva

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L’accordo provvisorio con cui la scorsa settimana Consiglio e Parlamento UE hanno chiuso l’annosa vicenda con la Commissione UE (trilogo) sull’introduzione delle piante NGT (New Genetic Techniques) o battezzate, in italiano, TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita) pone parecchi interrogativi circa l’utilizzo di tali piante in agricoltura biologica e la loro coesistenza. 

Le piante NGT sono il frutto dell’applicazione del genome-editing CRISPR-CAS9 che ha procurato alle sue inventrici, Jennifer Doudna e Emmanuel Charpentier, il premio nobel per la chimica del 2020 in virtù delle nuove terapie per malattie genetiche ed altre applicazioni biomediche, i cui risultati della ricerca già si erano concretizzati già nel 2012. L’applicazione di questo metodo, basato in particolare su mutagenesi mirata e cisgenesi, comporta la sostituzione di nucleotidi e pezzi di DNA provenienti dalla stessa specie e porta alla riproduzione di quanto avvenuto in natura con mutazioni naturali, frutto della domesticazione naturale e della selezione massale. Non occorre che ciò avvenga naturalmente o a seguito di incroci ripetuti ma può essere introdotto in modo mirato e veloce. La tecnica “taglia e cuci” non ricorre a sostanze di sintesi e produce mutazioni del tutto indistinguibili rispetto alle piante di partenza, senza introdurre materiale genetico di altre specie; per questo tecnicamente non si può parlare di transgenesi  e quindi non si tratta di OGM. 

L’accordo prevede che tali materiali siano distinti in NGT 1 e NGT 2. Le NGT 1 non hanno più di 20 modificazioni a carico del DNA e non presentano tratti per la resistenza a erbicidi o insetticidi; sono considerate convenzionali e per questo non hanno obbligo di etichettatura e tracciabilità né le piante, né i prodotti derivati. Solo le sementi devono essere etichettate specificatamente in modo da dare la possibilità agli operatori di scegliere responsabilmente. Le NGT 2 sono piante differenti dalle precedenti, considerate convenzionalmente OGM e per le quali si deve rispettare la normativa specifica. Gli stati membri, relativamente alle NGT 2 potranno vietarne la coltivazione nel loro territorio così come stabilire piani di coesistenza. 

Attraverso questa tecnologia è possibile introdurre caratteristiche tali da rendere queste piante più resilienti e più adattabili ai cambiamenti climatici con una potenziale ridotta necessità di ricorrere a mezzi tecnici esterni. Pensiamo solo ad una minore sensibilità alla siccità o alla migliore capacità di utilizzo dei nutrienti oppure ad un potenziamento dell’efficienza fotosintetica.

Crediamo che il settore sia sicuramente di fronte ad interrogativi non facili ma che debba ormai dimostrare la maturità per affrontare le sfide poste dalla ricerca e dall’evoluzione scientifico-sperimentale e confrontare tali sfide con quelli che sono i criteri e i principi guida dell’agricoltura biologica.

Se il biologico è un metodo di produzione, così come abbondantemente stabilito nel corpus normativo comunitario coordinato dal capostipite Reg UE 848/2018, non possiamo che riferirci agli obiettivi, ai principi generali ed a quelli specifici applicabili elencati negli artt. 4, 5 e 6 dello stesso regolamento. Principi che escludono l’utilizzo di OGM e prodotti da questi ottenuti. Le stesse istituzioni comunitarie, però, hanno, per ora provvisoriamente, stabilito che le piante NGT 1 sono convenzionali e non necessitano di misure volte ad etichettarne o tracciarne i prodotti; piante e prodotti, pertanto, del tutto analoghi a materiali non NGT e, fra l’altro, neppure distinguibili.

Le istituzioni comunitarie sono il soggetto più elevato cui abbiamo delegato il compito di rappresentare diritti, relazioni ed interessi collettivi di tutti noi fra cui, fin dal 1991, la definizione di agricoltura e di metodo biologici. Tali istituzioni sono il luogo in cui prende forma al livello più elevato il consenso e in cui prendono corpo le regole collettive cui le nostre azioni, sia singole che associate, vi corrispondono. La produzione biologica viene infatti ottenuta, trasformata, commercializzata e sostenuta in conformità con il Reg UE 848/2018. Nel complesso delle norme, rappresentate dalle decine di regolamenti comunitari e norme nazionali pubblicate, tutti gli interessi delle parti coinvolte (operatori, consumatori, cittadini, imprese, organizzazioni, etc) sono rappresentati, equilibrati e trattati con pari dignità con l’obiettivo di favorire lo sviluppo dei diritti e dei doveri di ciascuno e, in relazione allo specifico settore, una crescita robusta ed equilibrata dello stesso. Se, invece, riteniamo che il biologico sia il frutto di una concezione fideistica, non avremo necessità di Autorità che rappresentino i cittadini europei ma, probabilmente, di una guida spirituale che detti principi più simili a verità rivelate e dogmi. 

Nulla toglie, ovviamente, che associazioni, aziende o gruppi di aziende decidano privatamente di escludere l’utilizzo di NGT dal biologico definendone le regole in specifici standard così come già accade per molti marchi privati, sorti a garanzia di qualificazioni più restrittive rispetto alle norme di legge in vigore. 

Saremo tacciati di eresia? Sicuramente! Bruceremo sulla pira mediatica? È probabile. Il settore è, però, tenuto ad affrontare tali argomenti senza nascondimenti e paure o pensando di interpretare e rappresentare gli interessi di consumatori spesso ignari di tali argomenti e discussioni. Qui non si tratta di “vendere l’anima al diavolo” ma, piuttosto di conservarla insieme al corpo mantenendo coerenza e pensando al futuro.

Fabrizio Piva

Notizie da GreenPlanet

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