Il CCPB insiste: ‘Quel decreto è sbagliato’

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Il CCPB torna, con un testo lanciato in internet, sulla questione del decreto del governo che riforma il settore biologico, decreto che tocca, in maniera pesante, il sistema dei controlli e della certificazione. Il testo ha un titolo significativo (e polemico): ‘Dal boom del bio al bio bum’.

Qui di seguito il testo integrale.

‘Quasi 1.800.000 ettari di superficie, 72.154 gli operatori sono le cifre del biologico a fine 2016. In un solo anno sono aumentate entrambe rispettivamente del 20%. Ma se da un lato il ministero delle Politiche Agricole plaude ai risultati raggiunti, grazie al lavoro di migliaia di imprese compreso il personale degli organismi di certificazione, dall’altro prosegue invece nel voler approvare un decreto sui controlli che affosserà il primato che l’Italia detiene nel settore bio fin dagli anni ’90.

Il fatto che il Consiglio di Stato abbia espresso un parere, evidenziando però anche le modifiche da apportarvi, non toglie e non aggiunge alcunché ai notevoli danni che questo decreto provocherà al sistema di controllo e contestualmente alla competitività del settore biologico italiano. Non depone certo a favore del decreto il fatto che non sia mai stato oggetto di comunicazione o discussione con le rappresentanze degli operatori e degli organismi di certificazione, che fin da prima del Reg CEE 2092/91 hanno costituito le basi per il successo di questo settore, ed ancor più grave che neppure le Regioni, autorità locali in materia agricola e di vigilanza sul settore, mai siano state coinvolte fino alla seconda metà di luglio (necessariamente, vista la Conferenza Stato Regioni del 27.07).

Per quale motivo si è arrivati all’approvazione in Consiglio dei Ministri (16 giugno) senza mai prima averne discusso con operatori, tecnici e amministrazioni che si occupano del settore aprendo un confronto che portasse ad un percorso condiviso?

Per quale motivo un siffatto tema, disciplinato dettagliatamente in sede comunitaria con decine di regolamenti, non è stato oggetto di confronto in quella sede?

Perché non si è andati in questa direzione considerando che da parecchi mesi, e in particolare nel corso del 2017, è aperta una profonda discussione sulla nuova regolamentazione comunitaria del biologico e che in primavera è stato approvato un nuovo regolamento sui controlli ufficiali?

Per quale motivo non si è voluto concertare in ambito comunitario eventuali misure ponendo di fatto in difficoltà un settore che, visti i risultati, primeggia proprio in ambito comunitario?

Intervenire sulla proprietà indiretta degli organismi di certificazione limita la libertà di impresa (prevista in Costituzione), crea distorsione con gli organismi di certificazione stranieri operanti in Italia, interviene su una materia che è già gestita nell’ambito del processo di accreditamento (ISO 17065), di fatto cogente: da regolamento comunitario è obbligatorio essere accreditati in base a questa norma. Il tema dell’imparzialità deriva dall’equilibrio degli interessi e, come accade per la certificazione in tutti gli altri settori, è proprio il legame con il mondo delle imprese che garantisce competenza e indipendenza, elementi costitutivi dell’imparzialità.

Obbligare le imprese a cambiare Organismo di Certificazione è deleterio per la competitività delle imprese italiane e limita la libertà di queste imprese in un mercato libero. Così si pongono fuori mercato i prodotti italiani.

‘Non aver previsto le competenze in materia di gestione e vigilanza sul settore da parte delle Amministrazioni Regionali significa non conoscere come funziona il sistema e creare le condizioni per il caos gestionale ed amministrativo con conseguenze deleterie per le imprese.

ll personale degli organismi di certificazione non può essere incaricato di pubblico servizio avendo gli organismi un contratto con le imprese certificate di tipo privatistico e non essendo di fatto incaricati dalla pubblica amministrazione. Al limite possono essere considerati esercenti di pubblico servizio ma non certo incaricati.

Aver previsto che gli organismi ogni 5 anni devono essere ri-autorizzati, quando ogni giorno tutti i loro documenti devono essere approvati dall’autorità pubblica di competenza e da Accredia prima che vengano posti in uso e dopo tutta la costante attività di vigilanza e sorveglianza, significa aumentare enormemente i costi a carico del sistema. Analogamente, imporre una sede fisica in tutte le Regioni con oltre 100 operatori certificati in un periodo in cui si può lavorare da remoto indipendentemente dal luogo in cui ci si trova implica moltiplicare costi inutili.

Aver previsto un sistema sanzionatorio draconiano con sanzioni che per gli organismi arrivano fino a 50.000 euro e per le imprese fino a 30.000 Euro, con un’ampia discrezionalità a carico di chi sarà chiamato ad elevare la sanzione, riveste un carattere punitivo per un settore che probabilmente ha “avuto l’ardire” di crescere oltre le aspettative.

Il settore si augura che nel percorso di approvazione si voglia trovare un‘intesa con chi ogni giorno si confronta sul mercato, a vario titolo, e conosce meglio di altri le esigenze del settore ben sapendo che l’integrità del biologico è condizione imprescindibile per la competitività. Quella competitività, però, che il nostro paese sta dimostrando di possedere indipendentemente da questo decreto e probabilmente in virtù dell’assenza di quest’ultimo’.

Nella foto, Fabrizio Piva, amministratore delegato del CCPB

 

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