Monti (Alce Nero), dura critica all’incoerenza del bio che provoca dubbi nei consumatori

Massimo Monti AD Alce Nero

Condividi su:

Facebook
Twitter
LinkedIn

“Ha senso definire biologica un’azienda molto grande che imbusta insalate?”. Massimo Monti, AD di Alce Nero, cita Safran Foer e il suo celebre libro, ‘Se niente importa’, dove si parla anche di agricoltura biologica, all’interno della lunga riflessione che lo scrittore americano fa sull’alimentazione e sull’industria del cibo. Un punto di vista, il suo, che già allora apriva un tema attuale, e che lo è tutt’ora, perché i punti di vista sono ancora diversi e ci si continua a chiedere se l’industrializzazione e la trasformazione possano andare di pari passo con l’idea di biologico nata negli anni ’80, in netta contrapposizione con l’industria del cibo.

“Dal punto di vista agronomico, l’agricoltura biologica – per quanto perfettibile – è la punta più avanzata, codificata e universalmente riconosciuta di agricoltura sostenibile. – puntualizza Monti – Quindi, pur essendo certamente migliorabile – come ad esempio sul piano dell’utilizzo d’acqua e dell’efficienza delle macchine che si usano – resta comunque assodato che non esiste, ad oggi, niente di così diffuso, riconosciuto, normato e praticato come il metodo biologico”. Questa è una certezza da cui occorre partire per riflettere in modo più ampio sul senso dell’agricoltura biologica e sulla sostenibilità dell’agricoltura in generale. In quest’ottica importante per Monti anche tornare alle motivazioni che hanno portato alla nascita del biologico: “Gli agricoltori, oltre a decidere di non voler avvelenare più se stessi, ad un certo punto hanno deciso che era importante anche non avvelenare l’ambiente – riferisce l’AD di Alce Nero – Si riprendevano in questo modo anche un po’ di quel protagonismo e di quella visibilità che avevano perso nei confronti di chi consumava i loro prodotti, e riscattavano al contempo anche la figura stessa dell’agricoltore, restituendole un certo rispetto”.

Si tratta di meriti che il mondo del biologico ha conservato, per Monti, sebbene poi, negli anni, sia anche passato il concetto che “basti prendere un certificato” per essere biologici, banalizzando la filosofia che c’è dietro la scelta. “Abbiamo vissuto un momento storico in cui tutte le aziende hanno creato una linea biologica per poi chiuderla non appena le condizioni per sostenerla venivano a mancare”, aggiunge l’AD di Alce Nero. Questa incoerenza ha senz’altro creato dubbi nelle persone.

Ecco perché, a maggior ragione per Monti, “chi fa biologico deve sempre cercare di fare meglio, di non essere superato”. Per l’AD di Alce Nero “fare un prodotto certificato biologico significa essere a metà del percorso verso la sostenibilità, non alla fine: se si vuole mantenere alto il valore del biologico, occorre andare avanti e comunicare con efficacia cosa si fa per non essere oltrepassati da tutte quelle aziende di grandi dimensioni decisamente meno sostenibili di quelle biologiche, ma in grado di costruire progetti comunicativi molto forti e appetibili, sebbene nella maggior parte dei casi costituiscano solo una parte minima del loro business; queste aziende continuano ad affamare gli agricoltori perché nella sostanza non cambiano nulla nella loro catena di approvvigionamento…”.

Purtroppo, però, accade che i grandi retailer invece continuino a far passare l’idea che il cibo debba costare poco: “Ma in questo modo non si può essere sostenibili”, scandisce Monti, consapevole del fatto che esista un problema di accessibilità e che, senza dubbio, Alce Nero, non è raggiungibile da chi ha scarsa disponibilità economica. Ma, aggiunge l’AD, “la soluzione non può essere quella di abbassare il costo del cibo, che già – sebbene non ne siamo consapevoli – costa molto meno di quanto non costasse trent’anni fa”.

Oggi, però le persone preferiscono spendere in altri ambiti della loro vita piuttosto che sul cibo e allora, per Monti, “occorre agire a monte e decostruire le false credenze: mangiare spendendo pochissimo e salvaguardare il pianeta sono due obiettivi che non possono andare di pari passo”.  

Ecco perché per l’AD di Alce Nero non ha molto senso concentrarsi sull’aumento della superficie coltivabile in modo biologico al 25% del totale entro il 2030, se poi la gente non consuma. “Si continuano a proporre incentivi per l’acquisto di auto o di altri beni, ma mai si è pensato a misure realistiche ed efficaci per aiutare le persone a comprare cibo buono, sostenibile, che ricompensi l’agricoltore e salvaguardi il pianeta…”, l’attacco di Monti. Dal canto loro, poi, gli agricoltori, devono impegnarsi a produrre cibi sempre più buoni e migliori dal punto di vista organolettico.

Le mense collettive e la ristorazione possono senz’altro essere dei ‘luoghi’ nei quali incentivare l’uso di prodotti biologici: “Ad oggi i capitolati delle mense sono assurdi, non si riesce a capire come possano stare in piedi; nell’ambito della ristorazione credo che siano vincenti le esperienze che non nascono come luoghi in cui si mangia solo biologico, ma quelli in cui si utilizzano prodotti realmente buoni e sostenibili, come è accaduto ad esempio nell’ambito della nostra collaborazione con Berberè”.

Chiara Affronte

 

Per approfondire l’inchiesta, leggi le puntate precedenti:
1. Giadone (Natura Iblea): "Basta con l'immagine bucolica del Bio"
2. Frascarelli (ISMEA): L’agricoltura Bio è oggi quella più avanzata

Seguici sui social

Notizie da GreenPlanet

news correlate

INSERISCI IL TUO INDIRIZZO EMAIL E RESTA AGGIORNATO CON LE ULTIME NOVITÀ