Siamo ancora qui, siamo ancora noi. Ogni tanto mi torna in mente la frase che, nel darmi il benvenuto, mi ha detto Paolo Carnemolla ad una festa del bio, lo scorso anno, a Bologna. Mi torna alla mente insieme alla medesima riflessione, rispetto alla quale, con tutta la più buona volontà, non riesco ad elaborare alternative: purtroppo Paolo, siamo ancora qui, siamo ancora noi, perché vuol dire che per la rappresentanza del biologico e dunque anche per le istanze di politica generale del settore che esprime non ci sono state evoluzioni di sostanza pur essendo noi, tutti noi, i consumatori ancora prima di noi, in una fase di accelerato e quasi spaventoso (pensate all’intelligenza artificiale, alla robotica, alla nuova genetica, semplicemente – si fa per dire – all’inflazione) cambiamento. Se tutto cambia, come già avevano capito i predecessori di Socrate qualche millennio fa, non è che il biologico possa rimanere lo stesso e tantomeno la sua rappresentanza, così legata alle origini e ai primi sviluppi, certamente alle prime conquiste, del movimento.
Il tema centrale, a mio avviso, è questo: bisogna liberare le risorse e le capacità delle aziende biologiche, la rappresentanza deve lavorare per loro, per lo sviluppo, senza porre freni legati ad assiomi del passato. Liberare le energie, liberare la creatività, gettando le basi di una nuova crescita, di un nuovo, vero protagonismo. Il sistema dei controlli è una garanzia indispensabile. Le New Genomic Techniques non vanno rifiutate a priori, vanno valutate, forse vanno anche cavalcate per quello che di buono possono rappresentare, prima che il biologico non finisca in soffitta.
Quello che ci viene da chiedere e da sostenere è una nuova strategia, per un biologico che non tradisca se stesso (sarebbe comunque la sua fine) ma che punti diritto a conquistarsi il futuro.
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La rappresentanza e il futuro da conquistare
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Siamo ancora qui, siamo ancora noi. Ogni tanto mi torna in mente la frase che, nel darmi il benvenuto, mi ha detto Paolo Carnemolla ad una festa del bio, lo scorso anno, a Bologna. Mi torna alla mente insieme alla medesima riflessione, rispetto alla quale, con tutta la più buona volontà, non riesco ad elaborare alternative: purtroppo Paolo, siamo ancora qui, siamo ancora noi, perché vuol dire che per la rappresentanza del biologico e dunque anche per le istanze di politica generale del settore che esprime non ci sono state evoluzioni di sostanza pur essendo noi, tutti noi, i consumatori ancora prima di noi, in una fase di accelerato e quasi spaventoso (pensate all’intelligenza artificiale, alla robotica, alla nuova genetica, semplicemente – si fa per dire – all’inflazione) cambiamento. Se tutto cambia, come già avevano capito i predecessori di Socrate qualche millennio fa, non è che il biologico possa rimanere lo stesso e tantomeno la sua rappresentanza, così legata alle origini e ai primi sviluppi, certamente alle prime conquiste, del movimento.
Il tema centrale, a mio avviso, è questo: bisogna liberare le risorse e le capacità delle aziende biologiche, la rappresentanza deve lavorare per loro, per lo sviluppo, senza porre freni legati ad assiomi del passato. Liberare le energie, liberare la creatività, gettando le basi di una nuova crescita, di un nuovo, vero protagonismo. Il sistema dei controlli è una garanzia indispensabile. Le New Genomic Techniques non vanno rifiutate a priori, vanno valutate, forse vanno anche cavalcate per quello che di buono possono rappresentare, prima che il biologico non finisca in soffitta.
Quello che ci viene da chiedere e da sostenere è una nuova strategia, per un biologico che non tradisca se stesso (sarebbe comunque la sua fine) ma che punti diritto a conquistarsi il futuro.
Antonio Felice
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