Nel nostro Paese la fretta e quindi di conseguenza il pressappochismo dominano sovrani, anche su faccende serissime come la never ending story dell’Ilva di Taranto. Il governo in carica ha dovuto partire in quarta su un ventaglio di argomenti, meglio di emergenze, quasi improponibile.
Dopo la lunga transizione post-elettorale, a Roma domina la fretta di fare, costi quello che costi. Solo che problemi come quello dell’Ilva con la fretta non si risolvono, anzi si aggravano. Non si debbono dare eccessive colpe a questo governo ma certo altri, a partire dalla Regione Puglia, avrebbero potuto mettere giù qualcosa di serio, di ponderato per dare all’area di Taranto un’alternativa di sviluppo.
L’Ilva è in coma e le alternative non ci sono. Conclusione: l’approccio al problema è disastroso. Al tavolo del governo, dunque, non poteva che passare, nei giorni scorsi, la linea del commissariamento dell’Ilva. Una soluzione prospettata dallo stesso presidente Nichi Vendola all’indomani della nuova crisi che ha travolto l’acciaieria tarantina. L’imperativo era quello di fare presto per scongiurare che la situazione precipitasse ulteriormente, scatenando un crac aziendale con conseguente effetto domino ed emorragia di posti di lavoro. Così è arrivato il via libera al ‘commissario ad acta’.
Il 29 maggio il caso è stato affrontato a Palazzo Chigi. La sintesi è che il governo ha voluto evitare un nuovo braccio di ferro con la magistratura ed ha eliminato l’idea di un commissariamento connesso alle problematiche economiche dato che l’azienda al momento è solvibile. Intanto la magistratura sta esaminando le posizioni di decine di indagati tra politici, funzionari pubblici, imprenditori e manager.
Un elenco che parte da Emilio Riva, il magnate dell’acciaio arrestato a luglio, e per il quale la Cassazione ha confermato la misura cautelare. E’ tornato in libertà, invece, Lorenzo Liberti, consulente della Procura accusato di aver intascato una mazzetta da diecimila euro dal dirigente Ilva Girolamo Archinà per addolcire la sua perizia sull’inquinamento provocato dalle ciminiere.
Insomma, un bel pasticcio all’italiana. Ma quand’è che almeno i grandi problemi si affronteranno seriamente nel nostro Paese. Taranto, così come tutto il Sud, ha bisogno di un piano per uno sviluppo alternativo che rimetta un po’ le cose a posto, che dia al Mezzogiorno d’Italia il ruolo che gli compete collocandolo al centro del Mediterraneo come polo economico, culturale e turistico di una grande area che è in cerca di una sintesi, di un orientamento, di una guida. Il Sud ha le competenze per muoversi in questa direzione che va pensata nei suoi aspetti economici e di lavoro da un coordinamento che deve vedere protagoniste le Regioni.
Antonio Felice