La certificazione bio UE in Cina: un processo complesso

certificazione Cina

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Il mercato cinese può offrire grandi soddisfazioni alle aziende del biologico italiane, ma il suo approccio è impegnativo, a partire dalla certificazione. Attualmente non esiste un sistema di mutuo riconoscimento tra la Cina e l’Unione Europea per i prodotti biologici. Pertanto, le aziende italiane che desiderano esportare in Cina devono ottenere la certificazione da uno degli enti certificatori cinesi accreditati, anche se già in possesso della certificazione europea. 

Si è parlato anche di questo nell’incontro dedicato alla Cina organizzato dalla piattaforma ITA.BIO (vedi news). “La certificazione biologica cinese  – ha spiegato Aldo Cervi, coordinatore sezione soci operatori dei servizi FederBio – parte dal campo e arriva fino al prodotto. Lo standard di riferimento è il 19630-2019, che in diverse sezioni tratta di produzione, trasformazione, etichettatura, commercializzazione e sistema di gestione. Rispetto allo standard europeo, quest’ultimo aspetto è particolarmente critico in quello cinese, che richiede alle aziende di implementare procedure rigorose per il controllo della qualità, la tracciabilità e la relativa documentazione“. Ma non è questa l’unica differenza tra i due standard, a partire dalla validità. Il certificato cinese ha validità annuale. Questo implica un processo di ispezione e verifica annuale da parte degli enti certificatori cinesi, con un conseguente aumento dei costi per le aziende. Il certificato riporta, oltre all’elenco dei prodotti (cosa prevista anche dallo standard europeo) anche la quantità vendibile in biologico.

Per quanto riguarda le ispezioni, mentre in Europa vengono effettuate periodicam1ente, con un controllo analitico a campione; per lo standard cinese le ispezioni sono obbligatorie ogni anno e devono avvenire con il prodotto ancora in campo, per la produzione primaria. Inoltre, è richiesta almeno un’analisi annuale per ogni prodotto certificato, condotta dall’ente di certificazione cinese. “Ogni singolo prodotto – ha precisato Cervi – deve esser analizzato, sia in fase di produzione che di trasformazione“. 

I prodotti biologici etichettati devono contenere almeno il 95% di ingredienti certificati. Il restante 5%, se non disponibile sul mercato come biologico cinese, può essere introdotto senza certificazione. A differenza della normativa europea, non esiste un elenco positivo di prodotti utilizzabili. 

“I prodotti biologici destinati al mercato cinese – ha sottolineato – devono riportare un codice univoco su ogni unità di vendita. Questo richiede una gestione dell’etichettatura particolare. I campi d’applicazione vanno dalla produzione vegetale all’allevamento, alla raccolta spontanea, dalla coltivazione di funghi e all’acquacoltura. Non sono certificabili i prodotti dell’apicoltura“.

La testimonianza di alcune aziende che da anni operano su questi mercati conferma la complessità dell’iter di certificazione.

“La Cina per noi è un mercato ancora da sviluppare – ha affermato Andrea Sartori, presidente di Casa Vinicola Sartori – rappresenta circa il 3-4% del nostro fatturato e i vini bio rappresentano a loro volta dal 5 al 7% del fatturato in Cina. Per noi la complessità maggior legata alla certificazione è il rinnovo annuale, che richiede la visita ogni volta la visita degli ispettori in campo e negli stabilimenti, con un importante aggravio di costi. Credo però che valga la pensa essere su questo mercato e investirci, perché ha tante opportunità da offrire”. 

 

Di simile avviso è Roberto Savi, titolare di Savi Italo, che produce oli vegetali bio. “Negli ultimi due anni – ha raccontato – il consumo di prodotti biologici nel nostro continente ha segnato un periodo di flessione, pertanto si è resa necessaria la ricerca di nuovi mercati, tra cui la Cina. Noi abbiamo conseguito la certificazione tramite l’organismo COFCC – China Organic Food Certification Center – per i nostri impianti, lo stoccaggio e per la produzione di oli semi oleosi. La certificazione è stata estesa a monte alle aziende agricole della nostra filiera e a valle ai nostri contoterzisti”. 

Per agevolare il percorso verso l’esportazione in Cina è nato il progetto Go.China! che vede la collaborazione di FederBio, Qualità Studio, Nomisma, di COFCC, ITA.BIO ente Bologna Fiere. “Il progetto – ha concluso Aldo Cervi – ha l’obiettivo di supportare le aziende italiane che vogliono accedere al mercato cinese, partendo da un’analisi di mercato, definendo una strategia e affiancandole  nel processo di certificazione dei prodotti di interesse e poi anche nella fase commerciale”.

Elena Consonni

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