Il ministro dell’ambiente Clini – grato al presidente Napolitano per la ‘grande attenzione con cui ha valutato’ il decreto – spiega che nella stesura finale il testo ‘estende a tutte le imprese di interesse strategico nazionale con più di 200 addetti, gli impegni al disinquinamento compresi il ricorso a sanzioni (fino al 10% del fatturato) e l’adozione di provvedimenti di amministrazione straordinaria in caso di inadempienza’, e ‘rappresenta non solo una risposta responsabile all’emergenza innescata dalla situazione dell’Ilva, ma indica una via replicabile in analoghi casi ove si ravvisino gravi violazioni ambientali e condizioni di pericolo per la salute pubblica’.
‘Il decreto – aggiunge il ministero – ora rafforza il ruolo dell’autorizzazione integrata ambientale e dei piani di risanamento delle grandi industrie, a cominciare dall’acciaieria Ilva di Taranto’. Il testo del decreto in cinque articoli emanato dal governo Monti qualche giorno fa prevede che l’Ilva di Taranto, con i vincoli indicati, sia autorizzata per 36 mesi alla prosecuzione dell’attività produttiva nello stabilimento ed alla conseguente commercializzazione dei prodotti nonostante il sequestro dell’intera area produttiva disposto dall’autorità giudiziaria.
Clini crede davvero a quanto ha dichiarato all’agenzia Ansa? E’ in buona fede? Domande legittime da parte di tutti i bene informati sulla posizione del governo Monti: l’Ilva – è in sintesi estrema la posizione del governo – si deve salvare perché vale il 4 per cento del PIL nazionale. Altro che vincoli. Clini crede che l’Ilva sia in grado di adempiere al disinquinamento della sua area produttiva in termini tali da risolvere i tragici problemi sin qui creati? E se è in grado di eliminare il devastante impatto sul territorio che gli viene attribuito da autorità ufficiali, perché non lo ha già fatto?
La drammatica ‘partita’ di Taranto è tutt’altro che finita. Il governo dei ragionieri bocconiani non riesce a mettere in piedi un’alternativa perché non la trova nei numeri e non è in grado di avere una visione più ampia. Sanità pubblica e ambiente sono esercizi intellettuali per questi signori. Per questo, purtroppo, per questa Italia che pensa di evitare il baratro senza darsi un progetto, a Taranto ne usciranno un po’ tutti con le ossa rotte, anche il governo, ma soprattutto i più deboli.
L’Ilva ha bisogno di Taranto molto di più di quanto Taranto abbia bisogno dell’Ilva. Scegliere Taranto significa uscire dalla logica del sequestro-dissequestro per entrare in quella di creare un’alternativa credibile di sviluppo.
Antonio Felice