Una differenza di due centesimi al chilo è impercettibile al consumo. Non sposta la propensione all’acquisto di un avocado biologico, ma in Kenya, dove viene coltivato, può cambiare la vita alle persone che lavorano in questa filiera. Da marzo scorso gli avocado della società Anthony Ngugi garantiscono un salario di sussistenza grazie ai distributori e consumatori europei.
Gli avocado bio di Nature & More del Gruppo Eosta, multinazionale olandese specializzata nell’import-export di ortofrutta bio, sono protagonisti della campagna Living Wage che punta a garantire un salario di sussistenza a coloro che lavorano per la società di Nairobi, cioè uno stipendio che consenta una vita dignitosa a tutta la famiglia. Se il salario minimo garantisce poco più della sussistenza, questo stipendio consente di più, come testimonia il caso di Phyllis Mugo. La donna, madre single di quattro figli, confeziona avocado nel magazzino keniota: il suo stipendio le consente di pagare l’affitto, il cibo e le tasse scolastiche, ma coperte queste spese non resta più nulla. Con il salario di sussistenza, invece, ora può accarezzare nuovi sogni: aprire un negozio di alimentari e acquistare un terreno su cui costruire la propria abitazione.
“Un salario di sussistenza garantisce non solo cibo e alloggio, ma rende anche possibili l’istruzione e l’assistenza sanitaria e offre alle persone la possibilità di apportare miglioramenti sostanziali alle loro vite”, ha detto Gert-Jan Lieffering, manager di Eosta, “Ciò crea stabilità sociale e ha un effetto che permea società”.
La multinazionale accantona due centesimi per chilogrammo di avocado venduto, una somma che colma il divario tra il salario minimo e quello di sussistenza. Il divario salariale dell’anno successivo viene colmato con il denaro accantonato l’anno precedente e viene pagato come bonus in aggiunta alla retribuzione normale. Questo rende gli avocado Anthony’s i primi al mondo con un salario minimo, novità assoluta nel commercio di frutta e verdura.
Questi avocado biologici non hanno solo una valenza sociale, ma sono ecologicamente sostenibili.
L’avocado è una coltura idroesigente: in media l’impronta idrica è di 1300 litri, come calcolato dall’Istituto nazionale olandese per la salute pubblica e l’ambiente, mentre i frutti kenioti sono irrigati con acqua piovana e hanno un’impronta idrica pari a zero. E nel Paese africano non ci sono grandi estensioni mono-colturali, ma più appezzamenti coltivati da piccoli coltivatori. Una volta raccolti sono spediti nei Paesi Bassi via nave, dove vengono selezionati nei magazzini di Eosta con macchinari che li suddividono in base alla maturazione così da far trovare in negozio al consumatore solo frutti di alta qualità.
Fonte: Italia Oggi