Il ruolo della distribuzione è determinante nell’affermazione del bio ma occorre andare oltre la logica dei margini

Piva

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Il biologico ha da sempre riconosciuto al settore distributivo un ruolo importante nella diffusione dei suoi prodotti. Fin dall’inizio, e per inizio intendiamo la seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso, il settore bio ha cercato di coinvolgere il mondo della distribuzione e lo ha spinto ad impegnarsi per far trovare e far conoscere i prodotti biologici ad un numero sempre più vasto di consumatori.

In questo periodo storico il segmento dello “specializzato” era già presente, così come – in alcune città alcune – erano già presenti associazioni e gruppi di consumatori, che proponevano i prodotti biologici in punti vendita minuscoli, spesso definiti “spacci”, come se i primi prodotti biologici dovessero essere spacciati e non venduti! Del resto non esisteva ancora la normativa comunitaria che li definisse, promulgata nel 1991, ed alcuni pretori intervennero sequestrando alcuni articoli poiché privi di una normativa specifica che li prevedesse.

Da allora se ne è fatta molta di strada e il settore distributivo, nei suoi vari segmenti, è ben presente nel comparto del biologico. Secondo fonti ISMEA, nel 2023 la DO (Distribuzione Moderna) detiene la leadership con il 64,6%, il canale dei discount ha raggiunto il 14,1% (in crescita del 7% sul 2022) ed i negozi tradizionali detengono il 21,3% sul totale dei prodotti biologici distribuiti. Le analoghe quote di mercato per i prodotti convenzionali sono rispettivamente il 69,4%, il 21,8% e l’8,8%, una quota ben più marcata a favore della distribuzione organizzata e più ridotta nel caso dei negozi tradizionali. Negli ultimi 5 anni, infatti, la spesa di prodotti biologici veicolata dalla DO è passata dal 60,2% al 64,6%, quella dei discount dal 6,1% al 14,1%, mentre quella dei negozi tradizionali è passata dal 33,7% al 21,3%.

La distribuzione, pertanto, ha assunto un ruolo ancor più determinante, così come lo è per qualsiasi altro settore, nel contribuire all’affermazione del biologico nei più svariati mercati sia sul lato della sostenibilità economica che su quello dell’informazione e della conoscenza. Ruolo che è stato oggetto anche di parecchie critiche, sia quando i consumi crescevano ed il gap di prezzo fra materie prime e prodotti finiti cresceva a favore dei margini della distribuzione, sia più recentemente quando la spinta inflazionistica riduceva la propensione al consumo ed il prezzo dei prodotti biologici si è ridotto in media più degli analoghi prodotti convenzionali con forti riduzioni a carico dei prezzi delle materie prime e dei prodotti pagati ai produttori.

La distribuzione ha sicuramente contribuito a far conoscere i prodotti biologici al largo pubblico, ad aumentare e standardizzare la loro qualità e a ridurre i prezzi rispetto ai valori degli anni ’90. Sul versante produttivo, invece, sono stati compressi i valori d’acquisto riducendoli ben al di sotto dei costi di produzione con la conseguenza di scoraggiare molte aziende a proseguire nella produzione biologica. Sia il settore primario che quello secondario da alcuni anni criticano le politiche di acquisto della distribuzione accusando questa di trattenere la quota più importante del valore aggiunto, mentre dl versante distributivo si lamenta comunque la riduzione dei margini economici con l’obiettivo di mantenere adeguati volumi di vendita a favore del “sistema” nel suo complesso.

Purtroppo, anche nel biologico manca una visione di filiera attraverso cui razionalizzare i vari passaggi produttivi rendendoli più efficienti e meno costosi; molto è stato fatto in questi decenni sia sul versante produttivo che nella trasformazione, un po’ più di impegno in termini di efficienza del processo distributivo dovrebbe essere profuso anche da quest’ultimo settore. Come ricordato prima, la distribuzione ha avuto un ruolo importante nel far crescere il biologico, ora occorre spingere ancor di più affinché i consumi passino dal risicato 3% ad un valore a doppia cifra in pochi anni e per questo è necessario ragionare in termini di valore e non solo di margine.

In questo ambito ciò che manca è anche un vero approccio interprofessionale biologico che si preoccupi di rendere più efficiente la filiera e meno interessante occupare le “poltrone” in essa previste. La legge del 2022 che la prevede è scritta male, molto pasticciata e non fa sperare nulla di buono, così come le manovre delle varie associazioni il cui obiettivo principale in questi giorni sembra ridursi alla spartizione dei posti in essa previsti.

Fabrizio Piva

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