Il marchio del bio italiano divide: per AIAB non basta un logo a rilanciare i consumi

Giuseppe-Romano-AIAB

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l marchio del biologico italiano, in attesa della messa a punto del Regolamento d’uso e della approvazione in Conferenza Stato-Regioni, è stato intanto presentato ai rappresentanti del settore. Ma il nuovo logo, come nelle intenzioni del MASAF che l’ha promosso, risulterà veramente utile ed efficace nel promuovere i consumi del comparto? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Romano, presidente AIAB.
“Non so se il nuovo marchio aiuterà il comparto – ci ha risposto Romano -, sono molto scettico, non abbiamo infatti trovato un modo per caratterizzarlo, perché viene applicato a chi ha già l’eurofoglia con scritto Italia, quindi qual è il plus valore che questo logo va a comunicare? Diciamo che la montagna ha partorito un topolino. C’è da dire che sicuramente è di facile utilizzo, fruibile a tutti quelli conformi già al Regolamento UE 848 con dicitura Italia, senza inoltre comportare costi aggiuntivi in termini burocratici, amministrativi ed economici. Ma in definitiva è un marchio in linea con quanto già comunicava l’eurofoglia. Per una serie di motivi, non siamo stati in grado di metterci dentro alcun tipo di requisito in più. Già mettere il requisito del 100% di materia bio italiana l’avrebbe un minimo differenziato dall’eurofoglia Italia”.

– A questo punto cosa potrebbe servire, invece, per comunicare meglio i consumi biologici?

“Intanto sul logo bisognerà fare una campagna di informazione e di sensibilizzazione molto importante e capillare, Poi, secondo me, quello che comincia a diventare necessario è che il sistema biologico cominci a rispondere a una sola voce a tutta una serie di questioni e provocazioni che ci vengono poste da altri attori delle varie filiere. Mi spiego, ogni volta che se ne escono che il vino biologico non si può fare, è un una fesseria, oppure che il biologico è solo cialtroneria, come ha scritto Il Foglio qualche tempo fa, insomma ogni volta che ci sono attacchi del genere, mediaticamente molto rilevanti, bisognerebbe che, invece di risposte delle singole associazioni, come ci impegniamo a fare, ci sia una risposta corale, istituzionale, di difesa del settore. Penso sempre che se questo avvenisse sul vino, se domani uno si alzasse e dicesse “Il vino italiano è tutta chimica”, il giorno dopo ci sarebbe una levata di scudi, con Federdoc, i consorzi, il ministro che dice “No, il vino bio, il vino italiano è un’eccellenza”, e così via… Insomma, ritengo sia importante cominciare a rispondere colpo su colpo anche a questo tipo di attacchi, che, secondo noi, fanno tanto male al settore”.

– Che prospettive per gli agricoltori bio, alla luce anche della programmazione della nuova PAC e delle politiche europee?

“Partiamo un attimo dall’analisi dei numeri sul comparto in Italia. Le cifre presentate da Ismea non sono, secondo me, esaltanti, anzi, evidenziano una minima crescita delle superfici, e all’interno dei dati, abbiamo perdite importanti di produttività per quanto riguarda alcuni settori strategici, tipo l’ortofrutta. Evidentemente, il settore è arrivato a un momento di frenata importante. Addirittura registriamo, tramite l’Osservatorio AIAB, un calo di quasi l’1% di aziende nel primo semestre 2025. Una perdita che, secondo me, è legata fondamentalmente, come come abbiamo più volte detto, a un sistema che non garantisce l’impresa. Nella nuova programmazione della PAC, sicuramente ci sarà da discutere, perché la coperta si stringe e stanno prendendo tanto piede anche altre tipologie di agricoltura da finanziare. Sicuramente il biologico ci sarà nella nuova PAC, bisogna vedere come ci saremo e quanto varremo”.

Cristina Latessa

Notizie da GreenPlanet

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