Il decalogo di Slow Food, Nappini: “Bisogna passare da una logica del profitto a una logica bio”

Barbara Nappini - Slow Food (1)

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Un messaggio di 10 punti da indirizzare ai leader del G7 Agricoltura, che si aprirà a Siracusa il 26 settembre in cui si chiede di mettere al centro la biodiversità, il valore del cibo, il rispetto della natura e degli ecosistemi, dando sostegno alle aziende che producono secondo pratiche agroecologiche. È questo il decalogo presentato da Slow Food in una conferenza presso la Associazione Stampa estera a Roma nella quale sono intervenuti il presidente di Slow Food Edward Mukiibi e la presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini.

Nel decalogo consegnato da Slow Food al ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida e alle segreterie dei sei ministri ospiti al G7 agricoltura, ci sono dieci punti che mirano ad assicurare un cibo buono, pulito e giusto per tutti, dal favorire gli allevamenti che rispettano gli animali e la terra, all’introduzione dell’educazione alimentare nelle scuole, alla difesa e supporto della piccola pesca in luogo della pesca industriale, “La prospettiva su cui lavora Slow Food – ha osservato la presidente Nappini intervistata da GreenPlanet – è passare da una logica del profitto a una logica biologica, intesa non solo come pratica di certificazione, ma come logica basata sulla vita, quindi tutela delle risorse naturali, e penso alla fertilità del suolo che di anno in anno stiamo drammaticamente perdendo, penso alle risorse idriche, alla biodiversità che è una ricchezza, forse quella che ci potrebbe davvero salvare”.

“Quindi dalla nostra manifestazione Terra Madre Salone del Gusto, che si svolgerà al Parco Dora di Torino in contemporanea con il G7 a Siracusa, vorremmo – ha proseguito la presidente di Slow Food Italia -, in dialogo con quanto avviene nella ministeriale del G7, lanciare una prospettiva diversa, in linea con lo slogan di questa edizione di Terra Madre che è “We are nature”. E’ chiaro che se trattiamo un po’ meglio la natura sarà lei a salvare noi e non certamente il contrario”.

– Presidente Nappini, nel vostro decalogo c’è anche il no agli OGM, cosa pensa invece Slow Food riguardo alle TEA?

“Su questo complesso tema abbiamo fatto un lavoro importante con la coalizione “Italia Libera da OGM”. I prodotti delle NGT (New Genomic Techniques) o TEA  (Tecnologie di Evoluzione Assistita) vengono definiti dai loro promotori come non equiparabili agli OGM e assimilabili a varietà derivate da mutazioni naturali o selezione tradizionale. Inoltre vengono proposti come soluzioni in grado di far fronte a tutti i problemi ambientali in gran parte connessi e causati dall’agricoltura industriale, dall’uso indiscriminato dei pesticidi al cambiamento climatico e alla siccità. Sicuramente la deregolamentazione del febbraio scorso è andata a tutto vantaggio delle grandi corporation che hanno già ora il quasi totale controllo economico dell’agrobusiness, mentre non è stato promosso nessun dibattito pubblico che desse strumenti e voce ai cittadini in merito a questioni che riguardano direttamente la loro vita. La campagna promozionale “Building on Success”, condotta negli ultimi cinque anni dall’industria sementiera, tenta di equiparare manipolazione di laboratorio e mutazioni spontanee che avvengono in natura. Nessun accenno viene invece fatto all’importanza di rintracciare le centinaia di mutazioni fuori bersaglio che queste biotecnologie provocano. Noi vogliamo mettere al centro il rapporto tra genotipo e ambiente e la valorizzazione di varietà selezionate nel corso dei secoli in campo, quindi in maniera effettivamente naturale, dagli agricoltori. La sovranità alimentare è anche non dover dipendere da grandi aziende per l’acquisto di biotecnologie: in questa cornice le NGT sono una risposta del tutto coerente ad un approccio sbilanciato alla produzione alimentare, proprio lo stesso approccio che ci ha condotto a questo livello di degrado ambientale, climatico e sociale. Non siamo contro la ricerca scientifica, ma riteniamo che si possa implementare una ricerca diversa: lavorare sull’agroecologia, sulla tutela delle varietà locali, sul biologico. Siamo a fianco delle comunità contadine di tutto il mondo per fronteggiare le forti pressioni dell’industria sulla produzione di cibo: le popolazioni devono poter decidere (e prima ancora conoscere) cosa coltivare (senza essere vincolati all’acquisto di semi, pesticidi, fertilizzanti, biotecnologie), proteggere la biodiversità e preservare quel legame indissolubile che lega l’alimentazione all’agricoltura, gli ecosistemi alla cultura, le comunità ai territori”.

– Secondo lei la coltivazione biologica e i prodotti bio sono quelli che meglio garantiscono il rispetto della terra e la salute dei cittadini?

“Io credo che oggi l’agricoltura dovrebbe essere solo biologica! Anzi, aggiungo: come si può accettare un’agricoltura che non rispetti gli ecosistemi oggi? Mi pare che un approccio convenzionale e industrialista sia del tutto anacronistico, considerato il contesto di crisi sistemica nel quale ci muoviamo. Credo che un onesto ripensamento e un’audace propensione al cambiamento siano necessari quanto mai prima. Non si tratta di nostalgia, anzi: si tratta di avere a cuore il presente e il futuro delle nuove generazioni. Noi pensiamo a un’agricoltura per il futuro della terra, non ci basta occuparci del prossimo anno: in ballo c’è molto di più e non esiste una risposta semplice. Serviranno le migliori competenze e sensibilità, servirà uscire dal riduzionismo e tenere insieme in luogo di separare: saperi tecnici e tradizionali, ricerca scientifica ed etica, economia e filosofia. Entriamo in un’era bio-logica in senso ancora più ampio: un’era la cui logica si incardina, invece che sul profitto, sulla vita”.

– Nel decalogo preparato per il G7 si torna a parlare di rendere obbligatoria l’educazione alimentare nelle scuole di ogni ordine e grado, sulla scia dell’appello che avete lanciato lo scorso maggio, iniziando una raccolta firme. A che punto siamo con l’adesione a questo appello? E ne avete già parlato con le istituzioni preposte?

“L’educazione, intesa come lo strumento per permettere il pieno sviluppo delle capacità e delle inclinazioni di ogni essere umano, è sempre stato per noi un pilastro fondamentale. Fin dall’inizio, da un lato abbiamo valorizzato il cibo di qualità, ma parallelamente diffondevamo conoscenza affinché sempre più cittadini fossero in grado di riconoscerlo. Oggi chiediamo che a tutte le bambine e i bambini venga garantita un’educazione alimentare a trecentosessanta gradi che parta dall’orto scolastico e arrivi in mensa, passando per la letteratura, la filosofia, la scienza, la matematica, e così via. Il cibo diventa noi: quanto è importante ricostruire con la nutrizione e anche con la terra un dialogo corretto e consapevole? Siamo a oltre 13mila firme ma siamo molto ambiziosi e siamo certi che, con l’aiuto di tutte e tutti, arriveremo a un numero di firme impossibile da ignorare (https://appelloeducazionealimentare.it/appello/) e siamo certi che le istituzioni risponderanno positivamente alla nostra accorata sollecitazione”.

Cristina Latessa

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