Il clima mette a rischio la produzione di cibo in 64 Paesi

Paolo Sottocorona

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I cambiamenti climatici e l’instabilità del clima non preoccupano più solo gli agricoltori, che però si trovano strettamente colpiti e ciò è chiaro all’Unione europea che ha creato da tempo, sia per le realtà pubbliche che private, lo strumento volontario EMAS (schema di audit ed eco-gestione) volto a valutare le prestazioni ambientali dell’azienda in riferimento alle emissioni in atmosfera, e principalmente quelle ad effetto serra, come indicato nel piano di riduzione dell’Energy Roadmap 2050.

Purtroppo agricoltura e crisi climatica sono collegate attraverso il suolo, che è connesso al ciclo del carbonio, ai bio-carburanti e alle colture. Se non si prenderanno seri provvedimenti entro il 2045, il sistema agroalimentare sarà rovinato in ben 64 Paesi, contro gli attuali 20, come evidenziato dall’ultimo rapporto IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change ovvero il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici).

Ciò non riguarda solo i Paesi più poveri ma anche l’Occidente, che vedrà l’Italia passare, tra i Paesi a rischio, dal 143.esimo posto al’82.esimo. Gli Stati Uniti, con in prima linea la Florida, potrebbero aver dieci Stati a rischio, a differenza di oggi, che ne hanno soltanto uno. Il cambiamento può però essere limitato nei suoi danni utilizzando pochi fertilizzanti, gestendo bene le acque e rinnovando i vari processi.

Al riguardo abbiamo sentito il capitano Paolo Sottocorona (nella foto), conosciuto non solo perché metereologo di una rete nazionale, ma per aver partecipato alla V spedizione italiana in Antartide, finalizzata proprio a studiare il cambiamento climatico. “Non dobbiamo pensare che i cambiamenti climatici influiscano solo sull’agricoltura e che possa esserci una soluzione solo per tale settore. Perché purtroppo non c’è. Il lento, ma rapido, cambiamento dei consumi dei combustibili fossili ha modificato totalmente l’atmosfera, che si distingue per la propria inerzia termica. Ciò che è avvenuto in circa 150/180 anni, che sembrano tanti, ma non lo sono, e il non essersene accorti, rende tutto più complicato, poiché dovevamo prendere provvedimenti almeno trent’anni fa, perché modificare l’atmosfera e la sua inerzia sarà sì possibile, ma molto complicato e soprattutto lento. Dobbiamo seguire i tempi del pianeta, come lui ha seguito i nostri. Il dissodamento, l’aumento della temperatura a causa del diboscamento aumentano il rilascio di CO2”.

Sottocorona inoltre sottolinea come sia importante distinguere: “Il clima è l’insieme di tutto ciò che accade nel lungo periodo, mentre il tempo ciò che succede nel breve. È per tale motivo che oggi l’essere umano e soprattutto gli agricoltori, si trovano davanti a una realtà dove l’alluvione o la siccità non sono il vero segno del cambiamento climatico, ma tale segno è dato dalla frequenza di tali fenomeni”.

“In Italia – precisa Sottocorona – non ci sono Regioni colpite più di altre, sia per quanto riguarda la siccità che le alluvioni. Tale problema riguarda l’intero Paese e l’intero globo. Infatti, se osserviamo, poche settimane fa, la California è stata colpita duramente da un’alluvione, come già verificatosi poco tempo prima. Il meteo può essere d’aiuto per capire le alluvioni, ma non per le siccità.”

Giuliana Avila Di Stefano

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