È ora di fare lobby. La proposta del settore per recuperare il giusto prezzo

WEBINAR GREENPLANET (2)

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Dopo anni di crescita a doppia cifra, dal post pandemia in poi il settore del biologico ha subito le conseguenze di alcune congiunture nazionali e internazionali sfavorevoli, che hanno portato ad una riduzione della marginalità rispetto al prodotto convenzionale e, contemporaneamente, al calo dei consumi. Un insieme di fattori che hanno determinato una flessione generale dei profitti per gran parte degli operatori.

Nonostante qualche segnale di ripresa, confermato anche dai dati presentati a Biofach 2024, la percezione è che tali opportunità non siano state ancora colte dalle aziende del nostro Paese e che la situazione non sia del tutto rientrata. Se ne è parlato lo scorso venerdì durante il webinar organizzato da GreenPlanet dal titolo “Il mercato del biologico alla luce delle tendenze emerse a Biofach 2024”. Al confronto online, moderato dalla coordinatrice di redazione Chiara Brandi, hanno preso parte cinque tra i principali protagonisti del biologico in Italia e in Europa: Gerhard Eberhofer, responsabile bio di VIP Val Venosta, Simona Fiorentini, marketing ed export manager dell’omonima azienda torinese, Ernesto Fornari, presidente di Almaverde Bio, Andrea Pascucci, export manager Fileni, Renzo Patelli, direttore commerciale di Alce Nero. 

“In generale ha dichiarato Renzo Patelli di Alce Nero -, c’è un atteggiamento di fiducia e di consumo che lascia ben sperare. Siamo certi che il 2024 sarà un anno in cui si potrà costruire piuttosto che difendere. Quindi mi sento di confermare un cauto ottimismo e un viatico di ripresa”.

“Negli ultimi anni – spiega Patelli – si è assistito ad un netto miglioramento della proposta di bio grazie anche allo sviluppo delle Private Label, che hanno ormai raggiunto il 50% della quota di mercato e sono sempre più competitive sia a livello qualitativo sia in termini di segmentazione di prodotto, anche su proposte alternative al bio. Tale evoluzione si è però tradotta in posizionamenti più aggressivi in termini di prezzo, soprattutto all’estero. Dunque, quello che avverto – conclude Padelli – è la necessità di un cambio di proposta che abbia il minimo comune denominatore nel biologico. Al bio dobbiamo aggiungere elementi che guardino i nuovi trend con cui si trova già a confrontarsi in termini di offerta di prodotto”.

Conferma l’inversione di tendenza della domanda anche Andrea Pascucci di Fileni, seppur parlando di un’Europa a due velocità. “In Nord UE – spiega – registriamo una buona ripresa dei consumi mentre nei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo si soffre ancora di una situazione stagnante”. 

Pascucci parla delle difficoltà degli ultimi 4 anni, da lui stesso definiti “un po’ schizofrenici” sottolineando come, “in un contesto in cui la supply chain è integrata verticalmente, riuscire a reagire ai repentini cambiamenti del mercato non sia stato facile”. 

Una criticità portata all’attenzione dal manager, integrando quanto detto dal collega di Alce Nero, è relativa all’evoluzione dei canali di vendita del biologico: “Dopo una prima fase in cui la distribuzione di bio era a completo appannaggio dei retailer specializzati, si è passati ai supermercati e infine ai discount, provocando un aumento esponenziale della competitività concentrata sulla leva del prezzo”. 

Aggiunge il presidente di Almaverde Bio Ernesto Fornari: “Nel 2023, per la prima volta in 25 anni, abbiamo assistito ad uno stop del fatturato abbastanza importante, con un -10% a valore, a causa delle dinamiche che si sono delineate su scala internazionale, avvertite nel biologico più che nel convenzionale. Oggi però l’importante è riuscire a recuperare il calo dei volumi sostenendo la ripresa dei consumi e, al contempo, restituire valore ai produttori. Già a fine 2023 avevamo riacquisito metà del valore perso durante l’anno e con l’inizio del ‘24 ci sono segnali di ulteriore miglioramento”.

Dunque cosa occorre fare? Risponde Fornari: “Non è più sufficiente essere leader di mercato nel proprio settore ma bisogna essere propositivi e cercare di intercettare nuovi consumatori, offrendo una gamma più vasta di referenze e ampliando quella delle certificazioni, così da soddisfare più bisogni ed esigenze del consumatore”.
Poi conferma quanto detto da chi lo ha preceduto: “Il consumatore bio non è diverso dal convenzionale per ciò che riguarda gusto e sapore. Ecco perché si rende prioritaria una buona segmentazione di prodotto con l’obiettivo di ripensare gli spazi espositivi in punto vendita, per garantire al biologico le stesse opportunità, promozionali e di comunicazione, riservate al convenzionale, ma senza puntare solo sulla componente prezzo”. 

“Le prospettive del mercato sono attualmente buone, o anche molto buone, sia sul fronte interno sia all’estero”, esordisce Gerhard Eberhofer, responsabile bio della prima realtà in UE per la produzione di mele bio. D’accordo nel dire che, per sostenere la ripresa dei consumi sia necessario ampliare la gamma, segmentare la proposta e puntare su attività di marketing e di maggior servizio al consumatore, dichiara che “il compito degli operatori è trasferire ai consumatori il valore aggiunto del prodotto bio attraverso uno storytelling efficace”.

Eberhofer pone poi l’attenzione sul forte aumento dei costi di produzione in tutte le singole fasi, dal campo alla lavorazione nei magazzini, fino alla fase dell’imballaggio e dello stoccaggio, con conseguenze nei ricavi per i soci. “Tutto questo è molto significativo degli interessi della politica in Europa e in Italia”, commenta.

Secondo Simona Fiorentini, marketing ed export manager dell’omonima realtà torinese, il problema per chi lavora con la grande distribuzione è dato dalla variabile prezzo. “Viene richiesto un prodotto a basso prezzo senza dare il giusto valore alla certificazione biologica e a ciò che essa rappresenta in tema di sostenibilità. Una mancanza che porta all’imposizione di ulteriori standard da rispettare come, ad esempio, un packaging eco friendly. Lato consumer, invece, la richiesta è sempre più orientata su prodotti sostenibili alternativi al bio. Tutto questo, a mio parere, è legato ad un problema di comunicazione del bio, che non viene percepito per ciò che realmente rappresenta”. 

Fiorentini nota una certa sfiducia del consumatore perché ritiene che questa mancanza di comunicazione sui plus dell’agricoltura biologica sia un grosso limite che riguarda anche l’informazione circa i controlli di filiera. “Si tralascia una serie di elementi che permetterebbero di giustificare il gap di prezzo”. 

Altra mossa strategica necessaria, ricorda Fiorentini ribadendo quanto detto anche da altri colleghi, sarebbe l’omogeneizzazione e la razionalizzazione delle certificazioni a livello UE. Il proliferare di standard e attestati di sostenibilità ambientale si traduce in un grande sforzo per i produttori bio oltre che un sensibile aumento dei costi finali.

Insomma, una serie di criticità che tutti i relatori al webinar concordano che possano rappresentare delle opportunità, se solo si procede nel fare le giuste richieste alla politica. È il momento di fare lobby affinché si risvegli l’interesse e l’attenzione dei politici e si agisca a sostegno della ripresa dei consumi e dunque dello sviluppo del comparto, tenendo in considerazione i maggiori costi di chi produce bio e del maggior valore in termini ambientali e sociali”, concordano gli speaker. 

Tuttavia, c’è la consapevolezza che gli stessi produttori abbiano grandi responsabilità nei confronti del comparto nel cercare una maniera per valorizzare la proposta certificata, che dovrà passare da innovazione, distintività e credibilità. Un grande valore aggiunto da attestare anche rispetto al prodotto convenzionale, intercettando sì nuovi bisogni e nuovi benefici, ma restando coerenti nel prezzo, che deve essere sempre allineato su livelli più elevati. 

Insomma, ciò che è emerso è il quadro di un settore che “è stato un po’ malato ma ora è in via di guarigione”, perché potrebbe aver trovato la giusta medicina.

Chiara Brandi

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